CIVITA D’ANTINO – CHIESA DI SANTO STEFANO


CIVITA D’ANTINO


STRUTTURE E MONUMENTI DI CIVITA D’ANTINO


 

 

POSIZIONE DELLA CHIESA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE DI CIVITA D’ANTINO

 

 

 


STORIA DELLA CHIESA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE DI CIVITA D’ANTINO

 

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VI secolo

 

– La nascita della chiesa di Santo Stefano a Civita d’Antino

L’attuale chiesa di Santo Stefano risale come anno di costruzione al 1952. L’edificio religioso collocato al centro del paese di Civita d’Antino è l’ultima versione ricostruita della chiesa di Santo Stefano Protomartire. La chiesa di Santo Stefano di Civita d’Antino è stata ricostruita più volte o perchè decaduta a causa dell’incuria o perchè gravemente danneggiata da calamità naturali. Fatto è comunque che questo edificio religioso è presente a Civita d’Antino da quasi 1500 anni.

La prima chiesa di Santo Stefano a Civita d’Antino è stata infatti costruita in epoca alto medievale o in tarda epoca romana, diciamo tra V e VI secolo.  La chiesa viene eretta nella fase finale del municipio romano di Antinum. Probabilmente la stessa attuale collocazione della chiesa non è la stessa della chiesa primigenia.

In epoca tardo romana, quindi più o meno alla fine dell’impero romano o agli inizi del periodo gotico, la Marsica è già stata penetrata da vari martiri cristiani e la parola del Cristianesimo si è già in gran parte diffusa. A ciò naturalmente corrisponde una prima edificazione di chiese cristiane nei principali centri della zona, come appunto Antinum.

Con la caduta dell’impero romano si ha a un vuoto di potere, che viene presto riempito dai Goti, i primi brbari ad invadere l’Italia, che in un primo tempo questi rispettano la cultura locale consentendo una prosecuzione della cultura romana in Italia.

Tutto però ciò cessa con le guerre gotiche avvenute tra il 535 e il 553. Le guerre gotiche vedono fronteggiarsi Goti e Bizantini per il controllo dell’Italia e il solo risultato ottenuto è una carneficina che interessa l’intera penisola.

Nella Marsica ci sono immani distruzioni sia dei vecchi edifici romani, sia delle prime chiese cristiane. In pratica con vent’anni di guerre viene distrutto l’intero tessuto sociale romano, che aveva guidato le popolazioni fino ad allora. In questo quadro fatta eccezione per Alba Fucens, tutte le vecchie città romano-italiche sono distrutte e saccheggiate.

Antinum sembrerebbe essere stata inizialmente risparmiata da questo scempio, grazie alle proprie e straordinarie difese naturali, date dalle montagne circostanti e dalle possenti mura ciclopiche ancora perfettamente funzionanti. Nonostante ciò però ad un certo punto anche Antinum sembrerebbe essere saccheggiata e molto sangue sparso.

Se ciò è realmente avvenuto, ricordiamo qui che la sicurezza delle fonti non è sempre attendibile in un periodo di così grave crisi, un edificio di culto come quello di una chiesa paleocristiana sarebbe sicuramente andato distrutto.

Quindi riassumendo nel periodo antecedente le guerre gotiche, pur non disponendo di nessuna notizie diretta e considerando il contesto della situazione, è verosimile che vi sia stata in Antinum, una chiesa paleocristiana dedicata a Santo Stefano Protomartire. Ciò lo consideriamo ammettendo l’importanza di Antinum all’epoca nella Valle Roveto e proprio per questo nel periodo tardo romano la penetrazione religiosa deve esserci già stata, con conseguente costruzione di una chiesa.

Con le guerre gotiche la Marsica romana viene completamente sconvolta e distrutta. Tutti i centri urbani sono distrutti o gravemente danneggiati e la popolazione superstite è gravemente compromessa.

Dopo il 553 dopo 20 anni di guerre, i Bizantini possiedono l’Italia e la popolazione italiana, e quindi marsicana, è ridotta a fame e povertà, gravemente sconvolta al livello psicologico e con un calo demografico notevole. I Bizantini si rivelano molto peggio dei Goti sia sul piano amministrativo che sociale, poichè trattano il paese italico come colonia, massacrando di tasse e umiliazioni la povera gente.

Il potere dei Bizantini in Italia si rivela di soli 15 anni, ma sufficienti per lasciare un segno di grave crisi nel tessuto sociale. Infine nel 568 i Longobardi penetrano nella penisola sbaragliando i Bizantini, che vengono relegati lungo le coste. I Longobardi occupano poi via via le zone interne dell’Italia, faticando a cacciare i Bizantini. Per questo alla fine si ha in Italia una coabitazione forzata fra le due entità. Ciò produce uno smembramento del potere, nel quale da una parte i Longobardi non hanno la forza d’imporsi sui Bizantini e dall’altra quest’ultimi non hanno la capacità di riprendersi i territori persi.

Sulla base di ciò vediamo che dominio longobardo in Italia, che dura fino al 774, si rivela poco organizzato, portando con ciò ad una gestione frammentaria del territorio occupato. Questo offre ampi margini per l’organizzazione di un contro potere al livello locale. Il potere locale che si manifesta è quello religioso, che tende a suo modo a provare a controllare il territorio italiano soprattutto del centro e sud Italia.

Nella Marsica il periodo longobardo è un periodo di cesura con il passato romano e l’inizio non ancora definito di una nuova struttura sociale.

Il periodo longobardo nella Marsica inizia nel 591 con un po’ di ritardo rispetto al tradizionale anno 568 in cui è datato l’inizio del regno longobardo in Italia. Questo ritardo si spiega per il fatto che Ariolfo duca di Spoleto, fatica a penetrare nell’interno appenninico viste le condizioni fisiche e ancor più nell’Appennino abruzzese con le sue grandi montagne.

Tuttavia nel 591 il ducato di Spoleto conquista ufficialmente la Marsica e Ariolfo struttura la Marsica come gastaldato, che tuttavia non sarà mai pienamente funzionante. Da questo momento inizia il periodo longobardo.

 

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VII secolo

 

– La Marsica del VII secolo

Con il VII secolo la Marsica,  come il resto dell’Abruzzo, è sotto il controllo longobardo, ma questo potere non sarà mai pienamente efficiente, ma quasi sempre frammentario, rispecchiando in ciò  anche la struttura stessa del potere longobardo.

Questa mancanza di un potere centrale produce per tutto l’VII e parte dell’VIII secolo un grande vuoto di potere anche al livello locale.

Nella Marsica del prima metà del VII secolo regna disordine e incertezza, i vecchi centri romani ormai sono venuti meno, anche se le vecchie città sono ancora in parte abitate, come ad Alba Fucens e Carsioli, ma la maggior parte delle popolazioni superstiti si sono trasferite in campagna in posizione isolata e quindi facile preda dei banditi. Ma in questi tempi così cupi è difficile stabilire la via giusta e quindi ognuno si arrangia come può.

Nella Valle Roveto la situazione è lo stesso confusa e fragile. Nuovi villaggi nascono e muoiono nel giro di poco tempo, la popolazione è spaventata e dispersa è difficile riuscire a rimanere uniti, di solito sono unioni temporanee nate dalla necessità del momento.

Antinum in questo quadro di confusione appare quasi come un isola felice per la sua posizione di difesa dagli attacchi esterni. Anche qui si respira confusione e crisi, ma la città in qualche modo ancora perdura.

I Longobardi nella seconda parte del VII secolo continuano a rimanere deboli e a non avere la forza di sovrastare i Bizantini, specialmente nell’Italia centrale dove ancora dominano con un vasto territorio. Allo stesso tempo i Longobardi spesso in lotta fra loro non riescono ad avere il pieno controllo locale e laddove questo è più complicato, per la morfologia del territorio come nella Marsica, emerge ancor più il loro vuoto di potere.

Nella Marsica i gastaldi sono deboli e facile preda di piccole aristocrazie locali. In questa fase anche la religione cattolica perde terreno e molti paesi ritornano atei.

 

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VIII secolo

 

– La Marsica nella prima metà dell’VIII secolo

Con l’VIII secolo la situazione non migliora rimanendo confusa e piena di problemi. Si registra però la nuova presenza dei monaci benedettini che vagano nelle campagne d’Abruzzo svolgendo una nuova opera di evangelizzazione.

Inizialmente il loro lavoro nella Marsica non va bene, per le difficoltà oggettive di una popolazione sparsa e  di un territorio montano assai aspro, ma piano piano qualche risultato si vede e qua e la nascono con il tempo nuove piccole chiese, che poi saranno accompagnate dalla nascita di piccoli conventi.

Intorno a questi conventi con il tempo si formano nuovi villaggi, alcuni destinati a durare, mentre altri a scomparire. La povertà dei prodotti con i quali vengono costruiti questi villaggi, lasciano assai poco da ammirare oggi. Quindi il lavoro da fare è molto d’immaginazione.

Nella Marsica le prime zone frequentate dai monaci sono i vecchi centri marsi, non amcora svuotati del tutto, che ritornano con i monaci a popolarsi, consentendo a questi di perdurare.

L’arrivo dei monaci nell’VIII nella Marsica inizia a riempire il vuoto di potere lasciato dai Longobardi. Inizialmene i monaci si occupano solo della coordinazione sociale, non ancora del lato amministrativo-politico. In qualche modo perà l’arrivo dei monaci nella Marsica, come in altre zone, mostra anche come la Chiesa di Roma, ancora formalmente dipendente dall’Impero, stia cercando una sua via di affermazione politica e in qualche modo il lavoro dei monaci gioca a sua favore.

I papi nell’VIII secolo non hanno ancora la forza d’imporsi e anche la loro capacità di governanti regionali è molto scarsa. Per cui per ora i papi devono barcamenarsi tra quelli che sono i poteri civili del tempo, ovvero i Bizantini e i Longobardi. Questi a loro volta approfittano di questa debolezza dei papi, per condizionarli sul piano politico e dottrinale.

In questa situazione il potere locale della chiesa di Roma risulta totalmente mancante, in effetti in questo periodo le diocesi sono praticamente assenti. Prima delle guerre gotiche nella Marsica si erano formate le prime diocesi con sede in alcune città romane, come era successo ad Antinum.

Antinum infatti prima del 533 era divenuta sede di diocesi, e la chiesa di Santo Stefano Protomartire sembra essere stata la sede di questa diocesi iniziale. Ma lo stravolgimento dei tempi ha distrutto questa condizione e fatto naufragare ogni progetto.

Ora nell’VIII secolo ad Antinum, nella Valle Roveto e nella Marsica regna il caos. Probabilmente la chiesa di Santo Stefano in questo periodo non esiste più, ma questa è un opinione personale sulla base del ragionamento svolto.

La Marsica dell’VIII secolo è infatti ancora un cumolo di macerie politiche, sociali e materiali, date da una popolazione completamente allo sbando. Anzi il caos è talmente importante che la popolazione almeno in parte non ha minimamente avvertito il cambio di regime da Bizantini a Longobardi.

Gli unici che provano a cambiare questa situazione sono proprio i monaci benedettini, che  vagando in questa terra di mezzo che è la Marsica fanno opera di evengelizzazione. Essi però riescono solo dopo molto tempo a penetrare fra tutte le genti sopravvissute, ridando loro speranza per il futuro.

I monaci nella Marsica, in questa fase così cupa, si rivelano un vero raggio di luce, capace di dare speranza ad una popolazione che non ne ha più. Tuttavia ancora per tutta la prima parte dell’VIII secolo questo loro lavoro da pochi frutti.

 

 

– Riorganizzazione sociale nella Marsica e arrivo dei Franchi in Italia

I Longobardi tra il 730 e il 760 migliorano la loro presa sull’Italia, riuscendo a conquistare quasi tutto il territorio bizantino del centro Italia e allo stesso tempo migliorando il controllo locale nei territori già conquistati.

Ciò tuttavia incide ancora poco sulla loro efficienza al livello locale. Il loro potere infatti pur migliorato su alcuni aspetti, su altri rimane molto carente. Questa perdurante mancanza di potere favorisce il lavoro dei monaci.

Questi infatti nella seconda metà dell’VIII secolo, migliorano la loro presenza nei territori appenninici e anche se questa non è ancora stabile, iniziano ad incidere positivamente sulla rinascita della popolazione attraverso una nuova riorganizzazione sociale, che deve però migliorare.

Questa riorganizzazione sociale si basa sulla capacità dei monaci d’istruire le popolazioni nei mestieri di agricoltore e artigiano, consentendo a questi di tornare ad essere indipendenti e non subire più passivamente la sorte avversa.

Ciò produce fiducia nella popolazione, che riesce piano piano a tirarsi fuori dal grave stato di sconforto nel quale si trova  da ormai troppo tempo.

Tuttavia per iniziare a vedere i frutti di questo grande lavoro vi è bisogno di maggiore sicurezza interna e capacità organizzativa. Ciò può darla solo un nuovo potere centrale.

Ciò avviene nel 774 allorquando il papa sentendosi minacciato dalla spinta espansionista longobarda nei territori laziali, chiede al re dei Franchi d’intervenire per salvarlo.

Carlo Magno in quel periodo è alleato dei Longobardi, ma desideroso di avere il controllo sull’Italia. Quindi accetta l’invito papale e dopo poco tempo sbaraglia i Longobardi e si annette il territorio italiano, consentendo allo stesso tempo al Papa di avere una sua autonomia. I Franchi vittoriosi arrivano quindi a possedere l’Italia fino alla Campania, tralasciando i territori più meridionali ancora in mano ai Bizantini.

Nella Marsica questo cambio di regime incide positivamente, perchè determina una maggiore sicurezza interna. Certo all’inizio i gastaldi marsicani sono ancora per qualche tempo longobardi, ma il cambio di regime aiuta molto a migliorare la situazione.

In virtù di questa maggiore sicurezza il lavoro portato avanti dai monaci nel periodo precedente subisce un forte incremento che permette loro di formare i primi stabili conventi attorno ai quali si formano nuovi villaggi, alcuni dei quali destinati a durare diventando paesi.

la fioritura del sistema monacale nella Marsica si concentra sotto i regni di Carlo Magno (774-814) e del figlio Ludovico il Pio (814-40). I monaci all’interno di un quadro politico più stabile non si limitano più ad insegnare alla popolazione un mestiere, ma si ritrovano a svolgere anche il ruolo di amministratore dei prodotti ricavati.

In pratica nella Marsica i prodotti ricavati dall’agricoltura, dalla pesca nel lago e dall’artigianato vengono amministrati dai monaci che in parte li ridanno alla comunità, soprattutto i poveri, e in parte li destinano alla vendita, alla costruzione di chiese e villaggi e in parte vanno alle grandi abbazie di Montecassino e Farfa, a cui i monaci fanno riferimento e al Papa, sotto la cui protezione si ritrovano.

Con questa nuova organizzazione sociale la popolazione viene riconoscendo in essi non solo delle autorità religiose, ma anche politiche.

Nell’organizzazione sociale perpetrata dai monaci tra la fine dell’VIII e la prima parte del IX secolo, si ha la costruzione o ricostruzione delle prime chiese. Successivamente i monaci invitano le famiglie coloniche, ovvero coloro che si sono trasferiti in campagna ad unirsi per creare nuovi borghi.

Quest’opera benefattrice salvifica e feconda dei monaci determina nella Marsica una nuova organizzazione sociale, dove all’interno dei nuovi e vecchi paesi al concetto romano della proprietà privata si sostituisce ora quello cristiano della solidarietà collettiva.

I vecchi centri romani della Marsica rinascono all’insegna di una nuova organizzazione sociale, che porta tra le altre cose al cambio del nome, come a Marruvium che diventa Civita dei Marsi, Alba che cambia in Civita d’Alba, o Antinum con Civita d’Antena.

Il cambio di nome di questi vecchi centri urbani non è solo apparenza, ma soprattutto sostanza di una riqualificazione urbana. Molte antiche strutture romane rimaste in piedi, vedono mutare il loro ruolo, per esempio alcuni templi pagani divengono chiese cristiane, come avvenuto per il tempio di Apollo ad Alba Fucens, che diventa ora la nuova chiesa e convento benedettino di San Pietro.

Certo molte famiglie rimangono ad abitare isolate in campagna dove costruiscono proprie fattorie, ma coloro che si trasferiscono a vivere intorno ai monasteri sono altrettanto molti e sono questi che avviano l’inizio di nuovi borghi o ridanno nuova linfa ai vecchi

Antinum ora Civita d’Antena è fra questi ultimi. Questo centro della Valle Roveto non ha mai subito un completo spopolamento vista la sua capacità di difesa, e ora tende a riprendersi.

 

– La probabile rinascita della chiesa di Santo Stefano

Probabilmente in questa fase a Civita d’Antena si ha la ricostruzione della chiesa di Santo Stefano Protomartire. Non abbiamo di questi periodi storici delle valide notizie, che a volte mancano totalmente, ma con un po’ ragionamento si può immaginare un percorso lineare.

La chiesa di Santo Stefano è una chiesa antichissima, presente a Civita d’Antino da un infinità di tempo, quindi il fatto di vivere periodi di alti e bassi è più che normale. In quest’ottica, immaginando che il periodo tra fine VIII e inizio IX secolo sia un periodo di rinascita generale, diciamo che la ricostruzione della chiesa di Santo Stefano è una possibilità concreta.

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IX secolo

 

– La situazione della Marsica nel 800-850

Il secolo IX si apre con Carlo Magno, re dei Franchi e d’Italia, che diventa il 25 dicembre dell’800 imperatore del Sacro Romano Impero. Questa istituzione destinata a durare nei secoli si ritrova composta da tutti i territori conquistati dai Franchi. L’Italia sotto i Franchi comprende un territorio che arriva fino alla Campania. La Marsica è parte del ducato di Spoleto ancora in forma di gastaldato.

Più avanti Carlo Magno riorganizza anche il territorio italiano suddividendolo in ducati, marche e contee. In realtà questa riforma ricalca la già presente divisione longobarda. Però la Marsica, anche probabilmente in virtù di un certo miglioramento, con questa riforma viene elevata a contea dei Marsi e Civita dei Marsi è per ora il centro amministrativo del territorio.

L’anno dell’elevazione a contea per la Marsica sembra essere l’818 comunque negli ultimi anni di vita di Carlo Magno o in quelli immediatamente successivi. L’elevazione a contea però non comporta un indipendenza amministrativa per la Marsica, poichè  rimane soggetta al ducato di Spoleto. Tuttavia i gastaldi diventando conti, acquisiscono maggiori responsabilità amministrative.

Per un certo tempo però la figura del conte risulta ancora inconsistente come autorità civile, e solo nel seconda metà del IX secolo inizieranno ad affermarsi in modo più energico.

Sul piano civile e sociale il nuovo governo dei Franchi è riuscito fin dal suo insediamento nel 774 a dare una maggiore sicurezza interna, che si è riflettuta sul miglioramento sociale della Marsica.

Questo miglioramento è consistito nel consolidamento ed espansione del sistema monacale, già presente nella Marsica con i Longobardi, e fiorito sotto il regno di Carlo Magno.

Il lungo regno di Carlo Magno ha dato ulteriore slancio al fenomeno monacale, assicurandogli la stabilità necessaria per un suo rafforzamento.

Questo rafforzamento del ruolo dei monaci nella Marsica è stato così importante da permettere al territorio di divenire una sorta di feudo monacale soggetto alle grandi abbazie di Farfa e Montecassino e alla Chiesa di Roma divenuta ora più importante e autorevole.

Infatti la chiesa di Roma con Carlo Magno cresce d’importanza e prestigio, avviando a crearsi come stato indipendente e quindi a muoversi autonomamente sul piano politico.

Dopo la morte di Carlo Magno nell’814 la situazione della Marsica non subisce crolli e anzi il sistema monacale si rafforza con la nascita di numerosi e piccoli monasteri. D’altronde l’elevazione della Marsica a contea rispecchia la situazione di crescita della zona.

Per tutto il regno di Ludovico il Pio (814-40), figlio e successore di Carlo Magno, il sistema monacale rimane il perno centrale di questa crescita della Marsica, riuscendo a frenare e controllare il disordine fra le genti in tempi che comunque rimangono difficili.

La validità dell’ordine monacale nella Marsica sostituisce ancora per tutto il regno di Ludovico, il controllo non del tutto funzionante dei conti dei Marsi sul piano amministrativo, mentre invece si serve di esso sul piano dell’ordine interno, che risulta ben gestito dai conti dei Marsi.

Questi ricordiamo rispondono direttamente ai duchi di Spoleto e anzi il loro territorio costituisce il confine sud del ducato con il principato di Capua ed è quindi strategico.

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nella prima metà del IX secolo

Nel quadro fisico della Marsica la Valle Roveto rappresenta la parte sud che si trova a confinare con il Principato di Capua e che quindi rappresenta una parte fondamentale del territorio sia della Marsica che del ducato di Spoleto.

A ciò bisogna aggiungere che nella posizione in cui si trova la Valle Roveto, questa rappresenta una strada di passaggio obbligato fra nord e sud Italia. Quindi il suo ruolo è di cerniera fra nord e sud Italia.

Nell’ultima fase di regno di Carlo Magno e per tutto il regno di Ludovico il Pio la situazione di miglioramento generale, si risente anche nella Valle Roveto, dove nascono anche qui numerosi piccoli monasteri attorno ai quali si formano piccoli borghi. Molti di questi hanno una vita breve, tanto è vero che di molti essi non ci giunge notizia. Mentre i centri più grandi vivono una fase di crescita.

Questo dovrebbe essere il caso di Civita d’Antena, che rappresenta uno dei paesi più importanti, che vivrebbe in questa fase una maggiore stabilità. L’importanza e la crescita di Civita d’Antena è chiaramente legata anche alla sua posizione e alla sua posizione elevata, che ne fanno al tempo stesso un luogo sicuro per viverci e di controllo sui passaggi sulla Valle Roveto.

 

– L’arrivo dei Saraceni e la crisi del sistema monacale

Dopo la morte di Ludovico il Pio e la successiva divisione dell’impero tra i figli l’Italia ricade sotto il controllo di Lotario I che diventa imperatore e che controlla un territorio lungo che va dai Paesi Bassi alla Campania.

All’inizio del suo regno più o meno nel 845 si hanno le prime incursioni saracene in Italia e nella Marsica. I Saraceni invadono l’Italia compiendo razzie ovunque e ciò accade anche quando giungono nella Marsica. Qui le distruzioni operate dai Saraceni si rivelano molto crude, avvenendo prima con saccheggi e poi con uccisioni e stupri, questo vale sia per i villaggi che per i monasteri.

Chiaramente le incursioni non interessano solo la Marsica, ma tutto il centro Italia e inizialmente se queste hanno maggiore efficacia è perchè colgono di sorpresa sia le popolazioni che gli eserciti locali. Nessuno si aspettava una tale crudeltà da parte di queste genti straniere e i paesi di fronte a tanta ferocia si trovano completamente indifesi.

Inizialmente i Saraceni hanno una tecnica militare che si rivela più veloce e avanzata che sfruttano per essere più incisivi nelle incursioni sulle coste e nell’entroterra.

Infatti negli anni seguenti alle prime incursioni, queste divengono sempre più frequenti e crude. Ciò induce i vari responsabili amministrativi, a cominciare dai conti dei Marsi, a organizzarsi e dopo una prima fase di confusione riescono via via a bloccare i Saraceni fino a sconfiggerli del tutto all’inizio del X secolo.

In generale la barbarie saracena nel centro Italia dura circa 60-70 anni. Sono anni dolorosi e cupi, con le popolazioni che subiscono grandi devastazioni, ma soprattutto importanti umiliazioni. Queste umiliazioni inizialmente si traducono in paura e terrore, ma poi diventano presto odio e rabbia.

In questa situazione oltre alle popolazioni, ci sono anche i monaci, che vengono duramente colpiti nei loro tanti conventi sparsi per il territorio. Questi vengono spesso presi di mira dai Saraceni, che in molti casi li distruggono compiendo poi grandi stragi tra i religiosi.

Ciò porta ad una grande sfiducia nei religiosi, che si traduce in una crisi sociale importante. In pratica è il sistema monacale ad entrare in crisi, in quanto i monaci tendono con minore facilità ad esercitare il loro aiuto alle popolazioni.

Queste, che nell’ultimo secolo e mezzo erano riuscite a riprendersi dalle devastazioni delle guerre gotiche proprio grazie ai monaci, sono ora in crisi senza più i loro riferimenti sociali. Di riflesso la crisi del sistema monacale, porta ad una maggiore affermazione delle autorità civili, ovvero i conti dei Marsi. I conti dei Marsi seppure non ancora del tutto capaci e autonomi, tendono ora ad incidere di più sulle popolazioni, che iniziano a guardare maggiormente a loro per la sicurezza interna.

Alla fine infatti poi dopo molti tentativi i conti dei marsi, con l’aiuto di altri eserciti tra cui quello papale, battono definitivamente i mostri Saraceni affermandosi così maggiormente agli occhi del popolo.

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino durante le devastazioni saracene

Tra le zone della Marsica più colpite dai Saraceni vi è senza dubbio la Valle Roveto. Questa è una terra di mezzo o meglio zona di passaggio obbligata tra sud e nord Italia, che viene spesso presa di mira dagli eserciti o dalle bande. Nel caso dei Saraceni parliamo di bande di criminali, che vengono in questa terra con scorrerie molto rapide compiendo razzie devastanti e come velocemente arrivano altrettanto se ne vanno.

In questa situazione Civita d’Antena sembrerebbe risparmiata dagli assalti saraceni, grazie alle sue difese naturali e logistiche. Riguardo alla chiesa di Santo Stefano in questo periodo non abbiamo notizia.

 

 

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X secolo

 

– La Marsica, Civita d’Antena e la chiesa di Santo Stefano nella prima metà del X secolo

Il secolo X inizia nella Marsica con la definitiva sconfitta dei Saraceni grazie alla collaborazione dei conti dei Marsi insieme agli eserciti vicini. Ciò configura una maggiore affermazione del potere civile dei conti dei Marsi, che però non ha ancora una sua autonomia.

Tuttavia i conti marsi nell’ultimo periodo del IX secolo riescono maggiormente ad affermarsi tra la popolazione e questo è indice di una crescita, che diventa definitiva grazie all’arrivo nel 926 di Berardo il Francioso che diventa nuovo conte dei Marsi.

Berardo è un discendente diretto di Carlo Magno e un capitano di ventura francese al servizio di Ugo di Arles, che scende in Italia per assumere il titolo di re. Ugo divenuto re d’Italia ricompensa i suoi comandanti distribuendo loro vari feudi. A Berardo tocca la contea dei Marsi nel 926.

Berardo assumendo il titolo di conte dei Marsi si carica di una grave responsabilità in quanto il suo nuovo dominio risulta gravemente compromesso da tanti anni di saccheggi e distruzioni.

Egli si rende subito conto del grave dissesto presente, ma capisce altrettando del forte potenziale del territorio disponendo questo di un grande lago.

Berardo è desideroso di consolidare il suo potere e di fare di questo territorio un luogo sicuro, per cui inizia a lavorare da subito in modo fermo e capace. Egli costituisce vari paesi rocca, dislocati lungo luoghi impervi tra i monti della Marsica, che sono in collegamento visivo tra loro.

Ogni paese dispone di un piccolo castello o torre di avvistamento, che funge sia da centro di potere che da luogo di difesa.

Nel caso di Civita d’Antena il paese si trova già strutturato come fortezza essendo circondato da solide mura e da poderose montagne. Civita d’Antena si rivela da subito un ottimo punto di controllo della Valle Roveto. Qui Berardo e suoi discendenti, costruiscono una torre di avvistamento ancora oggi presente, dove il controllo sulla valle è totale.

Oltre a questo Berardo forma un forte esercito locale, composto da giovani e uomini della Marsica e della Valle Peligna. Questi giovani sono gente semplice e umile, che però ha in se la voglia di combattere e riscattare così l’onore di questa terra troppo spesso umiliata. Berardo istruisce queste persone nell’arte della guerra nel migliore dei modi e molto presto si vedono i risultati.

Il lavoro condotto da Berardo si rivela da subito fruttuoso, appena dodici anni dopo dal suo insediamento. Nel 937 infatti giungono in Italia gli Ungari, una popolazione proveniente dall’est, che come i Saraceni, vuole saccheggiare l’Italia. Questi arrivati in Italia saccheggiano vari territori fino a penetrare nell’interno raggiungendo la Marsica. Gli Ungari dopo aver distrutto Capua e tutto il suo territorio raggiungono la Valle Roveto. Qui attraversano la valle compiendo varie razzie e infine giungono nel Fucino dove attaccano Trasacco, saccheggiando il paese e semidistruggendo l’antica chiesa di San Cesidio. A questo punto gli Ungari dopo un altro giro nella zona arrivano a Forca Caruso. Qui ad attenderli nascosti c’è l’esercito di Berardo che non aspetta altro che combatterli.

Non appena gli Ungari giungono a Forca Caruso l’esercito di Berardo li attacca trucidandoli e infierendo su di loro. Questa battaglia oltre che costituire la premessa del successo dei Berardi porta con se il riscatto di un intero popolo che per circa 100 anni ha subito inerme gli attacchi dei vari popoli stranieri.

I Marsi battendo gli Ungari riscattano in un sol colpo la loro terra per tutti gli orrori e umiliazioni subite. I Marsi con questa vittoria riconoscono in Berardo una guida forte e sicura capace di guidarli e proteggerli.

Così facendo Berardo diventa il capo assoluto e indiscusso di questo popolo e la convinzione di essere indipendenti di fronte alle avversità pone egli e il suo contado in una posizione di semi-indipendenza dal ducato di Spoleto, posizionandosi come stato cuscinetto tra il ducato di Benevento, il papato e il ducato spoletino.

La contea dei Marsi diventerà completamente indipendente dal ducato di Spoleto solo nei decenni avvenire sotto il nipote Rainaldo I. Nel corso del X secolo infatti i successori di Berardo I, ovvero il figlio Berardo II e il nipote Rainaldo I consolidano il potere della famiglia Berardi in ambito locale, fortificando il territorio, garantendogli la pace all’interno e la difesa dall’esterno. l’indipendenza dei Marsi arriva negli anni di Rainaldo allorquando il ducato spoletino si viene disfacendo.

 

– Civita d’Antena alla fine del X secolo

A Civita d’Antena, come nel resto della Marsica, il consolidamento dei Berardi nella contea marsicana produce effetti positivi per tutto il X e XI secolo sia in ambito economico che sociale.

Il grande rispetto e devozione che la popolazione della Marsica prova verso i Berardi garantisce l’ordine interno a cui si aggiunge il numero dei monasteri presenti in tutto il territorio che con la loro opera garantiscono un punto di riferimento per la popolazione.

La Valle Roveto in ciò non fa eccezione e pur rimanendo una via di passaggio per gli eserciti e persone, diventa in questo periodo un luogo più stabile e sicuro per viverci nonostante le difficoltà legate alla morfologia del territorio. La presenza poi di molti piccoli monasteri nella zona porta alla nascita di piccoli nuovi villaggi e di tante nuove chiese e cappelle.

Civita d’Antena si ritrova come altri territori della Marsica ad avere una fase di crescita. Il suo primato di città più importante della zona per ora è confermato, ma vengono crescendo altri centri che iniziano a farle concorrenza. Tuttavia per il momento la sua posizione le garantisce ancora un certo primato nella Valle Roveto.

 

– La chiesa di Santo Stefano alla fine del X secolo

Al momento non abbiamo alcuna fonte a cui fare riferimento, per cui basiamo le nostre dichiarazioni in funzione della situazione generale. La preminenza di Civita d’Antena nella Valle Roveto è un fatto abbastanza acquisito, viste le tante caratteristiche che mantiene questo paese.

Da ciò ne segue che anche la sua chiesa madre di Santo Stefano immaginiamo sia abbastanza importante nella zona. Sicuramente esiste la possibilità che questa chiesa non sia ancora presente nel borgo e che quindi quanto abbiamo finora sostenuto non sia valido. Ma le fonti successive di poco posteriori a questo periodo disegnano un quadro troppo importante per questo edificio di culto, perchè si possa ritenere che questo sia recente. Il culto di Santo Stefano a Civita d’Antino risale sicuramente al periodo romano e tra alti e bassi una chiesa o cappella a lui dedicato è quasi sempre esistita.

Quindi non resta che ritenere la chiesa di Santo Stefano esistere nel X secolo ed essere importante almeno nel borgo di Civita. La presenza d questa chiesa è praticamente da considerarsi da sempre presente nel borgo, diventando per la popolazione, estremamente devota, garanzia di stabilità e il maggiore punto di riferimento religioso.

Con l’ascesa dei Berardi nella contea dei Marsi, il rafforzamento del sistema monacale e dello Stato pontificio portano alla rinascita delle diocesi, dipendenti direttamente da Roma.

In questo quadro la chiesa di Santo Stefano si ritrova a dipendere dalla Diocesi di Sora, così come molte altre chiese della Valle Roveto.

 

 

– L’indipendenza della contea dei Marsi alla fine del X secolo

La contea dei Marsi verso la fine del X secolo è dominata dalla figura del conte Rainaldo Berardi. Egli è sicuramente il personaggio più rilevante della famiglia comitale dopo la figura del nonno Berardo I. Rainaldo I riesce, verso la fine del X secolo, con ingegno e astuzia a rendere completamente indipendente la contea dei Marsi dal ducato di Spoleto, trasformando questa in un piccolo ma solido staterello disposto tra il sud Italia, il fatiscente ducato spoletino e lo Stato della Chiesa.

La politica adottata da Rainaldo per raggiungere l’indipendenza del contado marsicano è priva di rumore, guerre o accordi con qualcuno, ma semplicemente un fatto acquisito e riconosciuto da tutti, senza ufficilizzazioni.

Rainaldo dalle fonti storiche sembrerebbe salire al comando della Contea dei Marsi intorno al 970, insieme al fratello Berardo III, di cui qualcuno ne parla come fratello gemello. I due fratelli inizialmente si ritrovano un territorio forte e coeso, dato dall’alta fiducia della popolazione in loro.

Nel 971 abbiamo la presenza dell’Imperatore Ottone I nella Marsica. Entrambi i fratelli ospitano con sfarzo l’illustre ospite e la sua corte. Poco dopo questo episodio Berardo III muore di malattia e Rainaldo rimane al governo da solo.

Il suo governo si rivela assai lungo durando circa 40 anni dal 970 al 1010. Egli partecipa a ben tre  incoronazioni d’imperatore ovvero quella del 973 di Ottone II, quella del 982 di Ottone III e del 1003 di Enrico I. In questo lungo periodo di governo egli intrattiene ottimi rapporti gli imperatori, con i papi e le abbazie di Farfa e Montecassino, a cui fa molte concessioni territoriali. Allo stesso tempo è molto attento all’ordine interno riuscendo a tenere coeso il suo territorio.

La vicinanza alla chiesa di Roma e agli imperatori, la forza del suo esercito che garantisce ordine e disciplina, la grande popolarità di se e della sua famiglia presso il popolo marsicano, gli garantiscono stabilità all’interno e un alto prestigio all’esterno.

Questa sua capacità di governo illuminato permettono alla Marsica di muoversi in autonomia riuscendo a divenire indipendente senza bisogno di scontri armati o altro.

C’e inoltre un particolare da considerare, il fatto di essere attorno all’anno 1000 e quindi in un momento considerato da quasi tutti come la fine del mondo e l’arrivo dei tempi del giudizio universale.

In questa fase la maggior parte dei nobili e della gente comune fa opera di beneficienza alla chiesa per avere salva la propria anima al momento dell’imminente trapasso. Sembrerà ridicolo ma la situazione è andata così. La sicurezza della fine del mondo con l’avvento dell’anno 1000 piega le coscienze di tanta gente.

Quando poi arriva l’anno 1000 e ci si accorge che la fine del mondo non c’è stata, la pressione psicologica generale si allenta e si torna ad una condizione di maggiore normalità e serenità.

 

 

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XI secolo

 

– La contea dei Marsi nell’XI secolo

Con l’inizio dell’XI secolo la Marsica prosegue nella sua crescita armoniosa sotto l’abile guida di Rainaldo Berardi. Nel 1010 infine il conte Rainaldo muore e a succedergli è il figlio Berardo IV. Con lui la Marsica prosegue ancora una fase di crescita e stabilità, ma il suo carattere non sempre forte e deciso fa si che si creino le prime tensioni familiari.

Il conte Oderisio, fratello di Berardo IV, si stabilisce nella zona di Carsoli e da qui inizia a creare un suo potere locale. Ma tuttavia fino a che il fratello è in vita le tensioni rimangono ancora sotto controllo.

Nel 1045 circa Berardo IV muore e gli succede il figlio Berardo V. Berardo V regna sulla contea in modo più deciso rispetto al padre e con l’aiuto dei fratelli riesce a tenere sotto controllo l’intera contea, ma non riesce a frenare le mire indipendentiste dallo zio Oderisio che dovrà combattere duramente per riportare l’ordine interno

Nel 1049 circa Oderisio aiuta il figlio Attone nella creazione della nuova diocesi di Carsoli, la cui base viene stabilita presso la chiesa di Santa Maria in Cellis. La creazione della nuova diocesi, mette in crisi uno dei poteri principali della Famiglia Berardi ovvero il loro controllo religioso sulla diocesi dei Marsi e quindi sulla Marsica stessa.

Berardo V e i fratelli affrontano duramente e in vari modi lo zio e il cugino, ma per un certo numero di anni sono costretti a convivere con questa divisione. Oderisio fa sposare una sua figlia con un principe normanno nella speranza che questi possano aiutarlo contro i parenti.

I Normanni sono un popolo del Nord, scesi in Italia all’inizio di questo secolo e desiderosi di creare un loro nuovo avamposto normanno nell’Italia meridionale. Per ottenere ciò dapprima combattono il papa e poi divengono suoi vassalli in una sorta di braccio armato papale, ma con la precisa idea di ottenere per se stessi il meridione italiano.

La contea dei Marsi per qualche tempo non è ancora nelle mire normanne occupati in questa fase nella conquista di altri territori. Tra il 1050 e il 1057 Berardo V e i suoi fratelli si riprendono con la forza la zona di Carsoli, ma non prima di essersi confrontati duramente in battaglia con lo zio Oderisio. Alla fine nel 1057 Oderisio è sconfitto e confinato in un castello, e in un sinodo voluto da Berardo V il Papa Stefano IX riconosce la riannessione di Carsoli alla diocesi dei Marsi, ritracciando i confini di questa e stabilendo presso Civita dei Marsi la sede ufficiale della diocesi. Allo stesso tempo il sinodo provvede a spostare Attone dalla diocesi di Carsoli alla diocesi di Chieti.

Con questo atto si conclude lo scisma di Carsoli nel quale Oderisio aveva cercato di formare un proprio stato dinastico tramite la formazione di una nuova diocesi. I Normanni in questo episodio hanno sostenuto Oderisio, ma la forza di Berardo e dei suoi fratelli fanno naufragare il progetto.

I Normanni negli anni successivi arrivano a conquistare quasi tutta l’Italia meridionale e puntano infine ad annettersi anche la contea dei Marsi. Berardo V insieme ai fratelli resistono per lungo tempo agli appetiti dei Normanni riuscendo a respingere i loro attacchi. I Normanni nonostante la loro forza non attaccano in profondità il territorio marso, ma si limitano a piccole incursioni lungo la Valle Roveto, che sono però ben respinte.  Infine nel 1090 circa muore Berardo V a cui succede il figlio Crescenzio, che si dimostra ancora capace di resistere alla crescente forza normanna.

 

– La Valle Roveto nell’XI secolo

La Valle Roveto all’inizio dell’XI secolo vive ancora una fase tranquilla sotto il dominio dei conti dei Marsi. La zona rovetana per buona parte del secolo non subisce particolari contraccolpi pur essendo interessata da alcune piccole incursioni normanne. Tra il 1000 e il 1060 circa la situazione di relativa tranquillità, consente una continuità di sviluppo dell’intera area e dei suoi borghi, che grazie alla continua opera dei monaci, migliorano sul piano economico e sociale. In questa fase l’abbazia di Montecassino domina incontrastata tutti i conventi della Valle Roveto determinando con ciò una sua chiara influenza sulla zona. D’altra parte gli stessi conti dei Marsi si appoggiano a questa e in molti la controllano anche con loro congiunti.

Alla fine del secolo l’affacciarsi della potenza normanna in Abruzzo determina diverse incursioni dei Normanni lungo la Valle Roveto. Tuttavia la difesa dei conti dei Marsi è ancora forte e capace di respingere e scoraggiare i Normanni dal compiere azioni più violente, ma è chiaro che i rapporti di forza vengono mutando e il territorio marsicano ad essere sempre più debole di fronte a loro.

 

 

– Civita d’Antena nell’XI secolo

Inizialmente Civita d’Antena gode di un buon periodo di stabilità che gli consente un certo miglioramento sociale ed economico. Poi nel corso del secolo le prime incursioni normanne la pongono come valido strumento di difesa nei confronti di questi. I conti marsi sfruttano bene la sua posizione e la sua capacità di difesa consentendo di respingere questi primi attacchi.

Le notizie fin qui scritte sono frutto di un lavoro di analisi del contesto storico generale e di una serie di notizie più specifiche del territorio in questione.

Per esempio una testimonianza di questo periodo su Civita d’Antena ci è data dalle molteplici donazioni effettuate intorno al 1063 da parte di cittadini importanti della città marsicana, all’abbazia di Montecassino relativamente a loro terreni presenti a Morino e Rendinara.

Morino e Rendinara sono due piccoli borghi lontani da Civita d’Antena, ma nonostante ciò dipendenti da questa. Ciò è indice della notevole importanza della città nel panorama della Valle Roveto.

 

– La chiesa di Santo Stefano nell’XI secolo

Ancora di questa fase non abbiamo notizie dirette della chiesa di Santo Stefano, ma l’esistenza e l’importanza di questa chiesa in Civita d’Antena non sono minimamente in discussione e ciò in virtù sia della grande importanza della città, che del culto di Santo Stefano. Per noi la chiesa di Santo Stefano è senz’altro la chiesa madre del paese e ad essa, trovandosi nell’interno urbano della cittadina, fanno sicuramente riferimento numerose chiese di campagna del territorio di questa.

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XII secolo

 

– La Marsica e la Valle Roveto nel XII secolo

Nel 1143 i Berardi, dopo essersi difesi per lungo tempo dai Normanni, accettano di sottomettersi a questi in cambio di un loro ruolo politico futuro nella zona. I Normanni accettano il compromesso e assorbono così la contea marsa nel loro regno. La contea dei Marsi rappresenta l’ultimo territorio conquistato dal regno normanno in Italia.

Successivamente i Normanni dividono il territorio marso in tre contee, ovvero la contea di Carsoli, la contea d’Albe e la contea di Celano. Ognuno di questi territori viene dato a un membro della famiglia Berardi.

In questo quadro troviamo la Valle Roveto essere parte integrante del territorio della contea d’Albe. Più precisamente tra il 1143 e l 1189 la Valle Roveto risponde al conte d’Albe che a sua volta risponde al principe di Capua entro cui ricade il territorio marsicano dopo la conquista normanna.

In questo lungo periodo molti dei paesi della Valle Roveto partecipano con propri militi a infoltire l’esercito siciliano-normanno. Nel catalogo dei baroni del 1173 è visibile la situazione dei vari paesi della Valle Roveto, che qui però non discutiamo, ma allo stesso tempo è indicata la chiara appartenenza della Valle Roveto ad Albe.

Sul piano sociale gli anni tra il 1143 e il 1189 si rivelano sofferenti per la Valle Roveto, a causa del passaggio continuo di eserciti lungo il suo territorio, di alcune infestazioni di Peste e di alcuni periodi particolarmente freddi come l’inverno 1167-68, ricordato nella cronaca locale per il congelamento del Lago Fucino.

Sul piano religioso continua la fase di predominanza dell’abbazia di Montecassino sulle chiese del territorio rovetano, la maggior parte appartenenti alla suddetta abbazia. Nello stesso periodo vediamo il consolidarsi della diocesi di Sora che tramite una serie di bolle papali vede definire i confini del proprio territorio.

 

 

– Civita d’Antena nel XII secolo

Nel 1143 termina la contea dei Marsi e l’intero territorio viene assorbito dai Normanni, compresa Civita d’Antena. Questa poi secondo la catalogazione normanna entra a far parte della contea d’Albe.

Ancora per tutto il secolo XII Civita d’Antena è il paese più importante della Valle Roveto e ciò si evince dal catalogo dei baroni del 1173. Qui abbiamo scritto che Civita d’Antena conta 500 abitanti, quindi rappresenta il paese più popoloso della valle e più importante, dovendo questo dare più militi degli altri al re.

D’altra parte la storia del paese unita alle sue condizioni fisiche e architettoniche ne fanno un punto di riferimento indispensabile nel controllo del territorio rovetano. Ricordiamo qui che la struttura del paese data dalle possenti mura romane ancora pienamente efficienti e la posizione di altura ne fanno una fortezza inespugnabile. A ciò aggiungiamo la presenza della torre costruita dai Berardi con la funzione di vedetta sulla Valle Roveto.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano Protomartire nel XII secolo

Precedentemente abbiamo parlato della centralità di Civita d’Antena nella Valle Roveto e ora allarghiamo il discorso alla chiesa locale di Santo Stefano.

La chiesa di Santo Stefano come il paese stesso è forse la chiesa più importante dell’intera valle, e questo è evidente dalla bolla di Papa Lucio III nel 1183. In questa bolla si cita espressamente la chiesa di Santo Stefano in merito ai suoi confini ecclesiastici come parrocchia.

Secondo il documento i confini della parrocchia arrivano fino alle pendici dei monti opposti a Civita, a terre oggi appartenenti a Morino, Meta e Rendinara. Per il testo della bolla il paese di Civita d’Antena possiede diverse chiese sparse nella sua campagna, che corrispondono a territori oggi non più appartenenti a Civita.

Se la chiesa di Santo Stefano viene espressamente menzionata dalla bolla papale, significa che questa ha una sua grossa importanza nell’area rovetana e quindi è da ritenerla già di antiche origini rispetto al 1183.

Sul piano diocesano la chiesa di Santo Stefano continua ad appartenere alla diocesi di Sora, che proprio in questo secolo vede consolidare se stessa, attraverso una serie di bolle papali che ne tracciano i confini defininitivi.   

 

 

– La Marsica alla fine del secolo XII

Nel 1189 muore Annibale conte di Celano. Pietro d’Albe cugino di Annibale riesce a succedergli nella contea, ciò porta alla riunificazione dei territori principali della vecchia contea dei Marsi.

Da questo momento inizia una nuova fase di ascesa della famiglia Berardi che ritenta tramite Pietro e poi con il figlio Tommaso, di tornare ad essere un territorio indipendente dall’impero e dal regno normanno. Pietro riconferma Celano come sede principale della contea di Celano e Albe.

In questo quadro troviamo la Valle Roveto riunirsi con la contea d’Albe a Celano dove ora vi è la capitale del grande feudo.

 

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XIII – XIV secolo

 

– La Marsica e la Valle Roveto nella prima metà del XIII secolo

Il XIII secolo inizia con la riunificazione del territorio storico della contea dei Marsi sotto Pietro Berardi. Dal 1189 Pietro Berardi è conte di Celano e Albe e ora all’inizio del XIII secolo è divenuto uno dei feudatari più importanti del regno di Sicilia. Questo è possibile poichè il papa Innocenzo III si è affidato a lui e pochi altri per gestire il regno di Sicilia in attesa che l’erede al trono cresca.

Pietro sfrutta questa sua condizione politica per cercare di rendere di nuovo indipendente la Marsica. Il piano di Pietro raggiunge il suo culmine con l’appoggio dato a Ottone IV usurpatore del trono imperiale che ora punta al regno di Sicilia. Pietro gli da il suo appoggio in cambio della enucleazione della Marsica dal regno siciliano.

Purtroppo una serie di episodi impediscono la realizzazione del progetto, a cominciare dalla morte di Pietro nel 1212. Il figlio Tommaso succede al padre nella contea d’Albe e più avanti anche nella contea di Celano. Egli è deciso a portare avanti il progetto paterno, ma vista l’impossibilità di realizzarlo per via politica decide per la via più rischiosa della guerra.

Federico II, l’erede legittimo, è cresciuto ed è divenuto imperatore e re di Sicilia; ora questi procede a consolidare il suo potere, ma si trova davanti Tommaso Berardi desideroso di ottenere l’indipendenza del suo contado. Egli non riconosce l’autorità dell’imperatore e questi gli muove guerra.

La guerra fra i due dura circa due anni, dal 1221 al 1223; in questo periodo Tommaso pur inferiore di mezzi, tiene testa all’imperatore, che s’irrita di questo e assume personalmente il comando.

Tommaso asserragliato nelle sue fortezze resiste per lungo tempo ma alla fine la sua forza si esaurisce ed egli è costretto ad arrendersi.

Federico II infuriato con il conte Tommaso gli toglie i territori abruzzesi di Celano e Albe, lasciandogli il solo Molise. Federico se la prende anche con la popolazione di Celano con la quale si vendica distruggendo Celano e deportando in altre zone la popolazione.

In questo contesto le contee di Albe e Celano sono affidate a uomini di fiducia di Federico. Tommaso Berardi nel 1229 riprova a riprendersi i territori, ma viene nuovamente sconfitto e costretto al ritiro.

Le contee di Albe e Celano rimangono così in gestione agli uomini di Federico II per molti anni, fino a quando nel 1254 dopo la morte di Federico II, il figlio Manfredi, che è succeduto al padre nel regno di Sicilia, cerca la pace con tutte le grandi famiglie del regno a cominciare dai Berardi.

Manfredi riconsegna le contee di Albe e Celano ai Berardi, ora rappresentati da Ruggero, in cambio della loro fedeltà. Ruggero, che non vuole rischiare di riperdere i territori marsicani, accetta di buon grado di sottomettersi al re.

 

 

– Civita d’Antena  la chiesa di Santo Stefano nella prima metà del XIII secolo

Sul piano politico Civita d’Antena come il resto della Valle Roveto continua a far parte della contea d’Albe sotto la direzione dei Berardi. Quando questi vengono meno a causa della guerra scoppiata tra loro e l’imperatore Federico II, la contea d’Albe viene affidata a uomini di fiducia di Federico II.

In seguito al nuovo tentativo di Tommaso Berardi di riprendersi il suo contado (1229) e alla sua successiva sconfitta, Federico II conferma nei possedimenti di Albe e Celano coloro che ne sono entrati in possesso dopo il 1223. I Berardi infine tornano signori di Albe e Celano nel 1254 dopo la morte di Federico II e la riconferma dei loro domini da parte di Manfredi re di Sicilia.

Sul piano sociale Civita d’Antena rimane per tutto il suddetto periodo il centro più importante e più esteso della Valle Roveto. Nonostante questo la città soffre delle difficoltà del territorio della Valle Roveto, continuamente sottoposta a saccheggi e al passaggio di truppe regolari e non.

Riguardo la chiesa di Santo Stefano è ancora per tutto il periodo della prima metà del XIII secolo la struttura religiosa più importante della Valle Roveto, continuando a controllare un territorio assai vasto.

Allo stesso tempo si nota un generale declino dell’influenza dell’Abbazia di Montecassino sul territorio rovetano, nonostante che la Valle Roveto continui ad avere una grossa presenza di piccoli e grandi monasteri benedettini.

 

 

– La Marsica nella seconda metà del XIII secolo

Nel 1264 Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, viene chiamato dal Papa affinchè tolga lo scettro di re di Sicilia alla famiglia degli Svevi. Questi scende in Italia ed inizia a guerreggiare con Manfredi di Sicilia.

Il confronto definitivo fra i due avviene nel 1266 presso Benevento. Qui i due eserciti si affrontano e dopo una dura battaglia Manfredi viene sconfitto e ucciso. La morte di Manfredi apre l’ascesa al trono a Carlo d’Angiò, che diventa Carlo I di Sicilia.

Egli s’impone su tutte la grande nobiltà del regno compresi i Berardi, che sono costretti a giurare fedeltà al nuovo sovrano.

Nel contesto del confronto tra Manfredi e Carlo I la Valle Roveto viene continuamente percorsa dagli eserciti, il cui passaggio avviene anche nel territorio di Civita d’Antino.

 

 

– Il tentativo di Corradino e il tramonto degli Svevi

Ruggero Berardi non è contento del nuovo cambio di regime e anche altri nobili arrivano a pensarla come lui. Questo è vero soprattutto in funzione dell’aumento delle tasse che sotto Carlo salgono molto. Per questo e altri motivi nel 1268 Ruggero e altri nobili chiedono a Corradino di Svevia, legittimo erede della corona siciliana, di scendere in Italia per affrontare Carlo d’Angiò e restaurare il potere della sua famiglia nel regno di Sicilia

Corradino accetta l’invito dei nobili siciliani e scende nel giro di poco tempo in Italia. Corrandino giunto in Italia arriva infine nel suo regno presso i territori abruzzesi. Qui egli trova molti nobili che si dichiarano fedeli a lui a cominciare da Ruggero Berardi. I nobili fedeli a Corradino mettono a sua disposizione un esercito e tutti i viveri e armi necessarie. Ruggero Berardi appoggia Corradino e trovandosi a controllare i territori di Albe e Celano, si trova maggiormente coinvolto nel sostenere lo scontro con Carlo I.

Come il conte Ruggero anche molta parte della popolazione civile appoggia Corradino, molti paesi marsicani sono chiaramente schierati in suo favore. Tra questi spiccano Alba Fucens e Pietraquaria.

A livello locale anche molti illustri cittadini di Civita d’Antino appoggiano in pieno il ritorno di uno svevo in Abruzzo.

A questo punto lo scontro tra le due forze in campo è inevitabile. L’ultima battaglia fra Corradino di Svevia e Carlo d’Angiò avviene pochissimo tempo dopo che i due si trovano in Abruzzo, la guerra coinvolge direttamente la Marsica essendo questa il teatro dello scontro. La battaglia avviene il 23 agosto del 1268 presso i Piani Palentini, qui dopo un duro scontro militare tra gli eserciti ad avere la meglio è quello di Carlo I d’Angiò. Corradino ormai sconfitto prova a fuggire, ma viene riconosciuto e catturato poco dopo. A questo punto viene condotto a Napoli dove viene giustiziato.

 

 

– Ruggero Berardi perde le contee di Albe e Celano

Carlo I dopo aver fatto giustiziare Corradino si vendica della nobiltà del regno, che ha sostenuto il giovane svevo, a cominciare dai Berardi.

Questi subiscono la confisca delle contee di Albe e Celano e in più anche la vendetta contro la popolazione rea di aver appoggiato Corradino. Carlo si vendica della popolazione distruggendo completamente i centri abitati di Alba Fucens, capoluogo della contea, e di Pietraquaria un centro abitato di medie dimensioni posto sul Monte Salviano. Le due città vengono distrutte e gli abitanti dispersi.

 

 

– Ruggero Berardi a Celano e Filippa ad Albe

Nel 1270 i Berardi riescono a rientrare in possesso della sola contea di Celano, tramite un forte riscatto di denaro pagato da Ruggero a Carlo I. Ruggero però non riesce a riprendersi Albe su cui però per un gioco d’interessi riesce comunque ad esercitare su essa unaa certa influenza.

In pratica re Carlo non rida a Ruggero la contea d’Albe, ma la concede a sua figlia, Filippa, con lo scopo di farla sposare a un uomo di sua fiducia, trasmettendogli in dote il territorio albense.

Filippa però si rivela un osso duro per Carlo I, poichè poco tempo dopo le nozze con l’uomo di fiducia del re, rimane vedova e quindi sola al governo della contea albense e di tutti i territori a questa soggetta, compresa la Valle Roveto (quindi anche Civita d’Antino).

Filippa esercita il potere su Albe con mano ferma e decisa fino alla morte avvenuta nel 1308. In questo lungo periodo essa si appoggia per consiglio o per bisogno prima al padre Ruggero e poi ai suoi fratelli.

Il forte governo di Filippa si rivela efficace riuscendo a migliorare l’economia della contea albense, che riprende slancio. Il governo di Filippa si concentra però soprattutto nella zona fucense, tralasciando in qualche modo i territori rovetani, che però sono parte integrante della contea d’Albe.

 

 

– Civita d’Antino e la chiesa di Santo Stefano a fine XIII secolo

Dopo la battaglia dei Piani Palentini nel 1268 e la vittoria di Carlo I d’Angiò i destini delle contee di Albe e Celano si dividono definitivamente.

In tutto questo vediamo che Civita d’Antino come gran parte della Valle Roveto appartengono ancora ad Albe di cui ne seguiranno i destini anche nel secolo XIV.

Probabilmente dopo questa grande battaglia molte cose vengono mutando nella Valle Roveto, con nuovi centri abitati, che crescono d’importanza a scapito di Civita d’Antino. Sicuramente le notizie in nostro possesso sono ancora troppo poche, per tracciare un quadro organico e lineare delle vicende, ma una notizia ci è giunta con un certa certezza, ovvero il sostegno attivo di alcuni cittadini di Civita d’Antena a Corrado d’Antiochia, cugino di Corradino di Svevia. Queste persone per questo loro aiuto vengono scomunicati dal Papa.

Sul piano religioso il territorio di Civita e quindi la chiesa di Santo Stefano, è ancora parte della Diocesi di Sora e sembrerebbe che la posizione della chiesa, pur facendo parte del territorio urbano di Civita, si porrebbe in periferia, essendo il paese dislocato diversamente rispetto alla posizione attuale.

La chiesa di Santo Stefano nonostante ciò, rimane una delle chiese più importanti del territorio di Civita d’Antina e la popolazione vi rimane molto attaccata.

 

 

– Civita d’Antena e la chiesa di Santo Stefano all’inizio del XIV secolo

Nel 1308 muore la contessa d’Albe Filippa Berardi senza eredi diretti. La contea d’Albe a questo punto passa al regio demanio e per tutto il XIV secolo sarà direttamente gestita dallo Stato o dalla famiglia reale dei d’Angiò, che figurano negli atti responsabili del territorio.

In pratica gli amministratori civili della contea d’Albe risponderanno o direttamente allo Stato o a uno dei membri della famiglia reale, che in questo periodo avrà la responsabilità del titolo comitale.

In questa situazione la Valle Roveto per tutto il secolo XIV, rimane parte integrante della contea albense. Ciò è testimoniato dai numerosi documenti del periodo, tra questi citiamo anche il registro di Carlo I datato 1316, nel quale sono elencati tutti i territori della Valle Roveto appartenenti ad Albe. Dal registro emerge chiaramente che Civita d’Antina è parte del suddetto territorio.

Anche sul piano religioso esistono documenti che riguardano le chiese della Valle Roveto. Tra questi vi è un registro completo, datato 1308, sulle chiese esistenti nella Valle Roveto. In questo documento, che appartiene all’Archivio segreto del Vaticano, figura anche la chiesa di Santo Stefano di Civita d’Antina.

 

– Le calamità nell’Italia centrale e nella Valle Roveto dal 1320 al 1350

Nel XIV secolo la vita dei borghi abruzzesi si rivela molto più complessa rispetto al secolo precedente, per una serie di calamità che colpiscono l’Italia.

Nel corso del secolo XIV, tra il 1320 circa e il 1348, nella Valle Roveto, ma più in generale nell’Italia centrale si registra la presenza del morbo della Peste. Questa in più occasioni a distanza di tempo si ripresenta nelle zone, e anche nella Valle Roveto, generando morte in chi ne viene colpito. La Peste raggiunge il suo culmine a metà secolo. Al livello locale la Peste colpisce molti  borghi abruzzesi producendo numerose vittime, ma al riguardo mancano notizie specifiche sul numero dei morti nei vari borghi della Valle Roveto

Oltre a tutto ciò si aggiunge il 9 settembre 1349 un fortissimo terremoto avvenuto nell’Appennino centrale di magnitudo 6,5 Mw che sconquassa tutta l’Italia centrale fino alla Campania.

Il terremoto è così devastante che numerosi centri sia della Marsica che dell’Italia centrale fino alla Campania vengono semidistrutti. Tra i centri più danneggiati vi è anche Roma, dove mezza città risulta crollata, essendo investita in pieno dalla scossa. Un intera parte del colosseo crolla per questo sisma.

Al momento non sappiamo gli effetti del sisma su Civita d’Antino e sulla valle Roveto. Sicuramente la scossa si è sentita bene e ha causato numerosi danni con diverse vittime. Ma il numero preciso di morti e di danni non è ancora emerso.

 

 

– La Valle Roveto nella seconda metà del XIV secolo

Nella seconda metà del secolo XIV la contea d’Albe, di cui la Valle Roveto è parte integrante, continua ad appartenere allo Stato angioino trovandosi ora sotto il Demanio ora gestita come titolo onorifico da membri della famiglia reale dei D’Angiò.

Tuttavia a partire dalla fine del secolo gli Orsini che da tempo dominano la contea di Tagliacozzo, hanno esteso le loro mire sulla vicina Albe. Il territorio d’Albe entra nell’orbita di Tagliacozzo sia via per via politica che economica. Al livello economico gli scambi fra le due contee sono continui, mentre al livello politico i conti Orsini servono fedelmente per tutto il secolo la casa d’Angiò e ciò anche quando il giovane re legittimo Ladislao viene scalzato dal trono da Luigi II d’Angiò. All’epoca Ladislao è un bambino e non ha la forza d’imporsi, perdendo il trono dopo appena un anno dal suo insediamento.

Tuttavia vari baroni del regno di Napoli si oppongono con forza per tutto il periodo successivo all’usurpatore. Tra questi vi sono anche gli Orsini.

Infine nel 1399 Ladislao, ormai uomo, scalza con il suo esercito Luigi II d’Angiò. A questo punto Ladislao ricompensa con vari privilegi i comandanti che lo hanno sostenuto, tra cui gli Orsini di Tagliacozzo. Questi sono ricompensati dalla madre del re, Margherita, che è titolare della contea d’Albe. Gli Orsini ottengono parte della Valle Roveto tramite un diploma del 1404 firmato da Margherita. In questo è scritto che le terre di Civita d’Antino, Capistrello, Pescocanale, Canistro, Civitella Roveto e Meta sono ora di proprietà della Contea di Tagliacozzo.

Sul piano sociale le continue guerre sostenute dagli Orsini nell’aiuto a Ladislao d’Angiò coinvolgono spesso la Valle Roveto. In questa passano spesso i vari eserciti che si muovono fra nord e sud Italia e a loro si uniscono le scorribande di vari briganti che colpiscono i vari ed inermi paesi della Valle Roveto.

Ciò produce nelle popolazioni locali miseria e un continuo stato di ansia e paura che dura per tutto il tempo.

Civita d’Antino grazie alle sue difese riesce ad evitare molti di questi saccheggi riuscendo ad essere una specie oasi di pace.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano nella seconda metà del XIV secolo

Alla luce di quanto detto sulla Valle Roveto e Civita d’Antino, immaginiamo che la chiesa di Santo Stefano, trovandosi nell’interno del borgo di Civita, sia un posto tranquillo, dove la popolazione riesce a trovare un po’ di pace in questi tempi così turbolenti. Sul lato religioso la chiesa è ormai alla totale dipendenza della sola diocesi di Sora, essendo l’abbazia di Montecassino decaduta molto come influenza monastica.

 

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XV secolo

 

– La Marsica nel XV secolo

Riprendendo a quanto accennato poco prima vediamo che la storia della Marsica nel settore della contea di Tagliacozzo inizia con gli Orsini ricompensati dal re Ladislao I per la fedeltà e l’aiuto datogli nella riconquista del trono.

La ricompensa che Ladislao accorda agli Orsini di Tagliacozzo sono la possibilità di non pagare alcune tasse locali e soprattutto l’ingrandimento della contea di Tagliacozzo con una parte della Valle Roveto.

In un diploma del 1404 Margherita, regina madre e contessa d’Albe, in virtù della volontà del figlio cede agli Orsini una parte della Valle Roveto, vale a dire i paesi di Civita d’Antino, Capistrello, Pescocanale, Canistro, Civitella Roveto e Meta.

Tra il 1404 e il 1409 Ladislao di Napoli inizia una politica espansionista del suo regno conquistando in poco tempo i territori papali, spingendosi fino alla bassa Toscana. Questo induce i papi a organizzarsi per fermare Ladislao. Gli Orsini passano dalla parte papale e aiutano i papi a proteggere Roma e i suoi territori. Gli Orsini vengono perdonati dai papi e per l’aiuto dimostrato questi vengono ricompensati enucleando la contea di Tagliacozzo dal regno di Napoli, annettendola ai domini papali, ma riconoscendola in perpetuo agli Orsini. Luigi II d’Angiò scende in Italia in aiuto del papa conquista Napoli cacciando Ladislao. Luigi II ricompensa gli Orsini per l’aiuto dimostratogli confermano il passaggio di Tagliacozzo allo stato papale sotto la direzione orsina. Luigi in seguito viene riconosciuto legittimo erede di Ladislao e le cose sembrano calmarsi. Lo stesso re Ladislao si riconcilia con gli Orsini e conferma loro la decisione papale.

Tuttavia l’enucleazione di Tagliacozzo da Napoli e il suo assoggettamento ai domini papali dura solo poco tempo. Nel 1414 re Ladislao muore e a lui succede la sorella Giovanna II, che cambia nuovamente la situazione. Gli Orsini dopo la presa su Tagliacozzo desideravano possedere anche Albe, ma Giovanna II volendo avere l’appoggio del nuovo pontefice concede nel 1419 la contea d’Albe a Oddone Colonna fratello del papa. Da qui al 1430 avvengono una serie di episodi che cambiano completamente la situazione nella Marsica che coivolgono anche la contea di Celano.

Fatto è che nel 1430 gli Orsini possiedono ancora la contea di Tagliacozzo e i Colonna si allargano anche a Celano dopo aver preso Albe. Nell’arco di qualche anno un condottiero di ventura Giacomo Caldora scaccia Orsini e Colonna e riunisce sotto di lui le contee di Albe e Tagliacozzo. Giacomo poco dopo sposa la contessa di Celano e diventandone conte. Per poco tempo Tagliacozzo, Albe e Celano sono riunite.

Nel giro di poco tempo le situazioni cambiano ancora Renato d’Angiò figlio di Luigi II ascende al trono napoletano succedendo alla cugina Giovanna II nel 1435. Nell’arco del suo regno che dura sette anni ci sono vari cambiamenti locali, ma alla base di tutto c’è la feroce rivalità tra Orsini e Colonna per il controllo della Marsica. Questa lotta fra le due famiglie romane avviene anche appoggiando da parte di entrambe i vari contendenti per il trono napoletano, da cui ne consegue l’appoggio al livello locale.

Arriviamo quindi al 1442 anno nel quale Renato d’Angiò è sconfitto dagli Aragonesi che divengono padroni del regno napoletano. Alfonso d’Aragona è ora re di Napoli e visto l’appoggio ricevuto dagli Orsini, gli restituisce le contee di Albe e Tagliacozzo che da questo momento cammineranno sempre insieme fino a fondersi del tutto in un momento successivo.

Gli Orsini a questo punto tornano al comando dei due feudi abruzzesi, e ne mantengono  il controllo tra alterne vicende fino al 1497, anno in cui i Colonna dopo avergli fatto la guerra per 50 anni, li sostituiscono nella direzione di Albe e Tagliacozzo.

Ora tralasciando le varie vicende che hanno opposto Orsini e Colonna tra il 1442 e il 1497, ricordiamo qui solo due fatti importanti che hanno condizionato la storia di questo secolo, ovvero i due importanti sismi del 1456 e del 1461. Questi due sismi sono stati molto violenti segnando in profondità la vita nei borghi della Marsica.

Il primo sisma è quello del 1456 che ha avuto come epicentro l’Irpinia, manifestandosi con una potenza di 7,1 Mw. Il sisma in questione è considerato tra i terremoti più forti registrati tra il 1000 e il 2000 nell’area appenninica. Questo sisma ha fatto moltissimi danni, producendo un grande numero di vittime. Concentrando l’effetto del sisma nell’area marsicana troviamo gli effetti maggiori sull’area della Piana del Cavaliere, dove tutti i paesi della zona sono stati distrutti o semidistrutti riportando molti morti.

Nel resto della Marsica la scossa si sente bene e sicuramente produce molti danni. Al momento però, a parte la Piana del Cavaliere, non ci sono altri elementi che ci permettono di tracciare un quadro organico dei danni e delle vittime nelle altre zone della Marsica.

Il secondo sisma che qui ricordiamo è quello dell’Aquila del 1461. Il sisma in questione ha toccato soprattutto la zona aquilana, quindi la Marsica pur risentendone abbastanza a causa della sua vicinanza sembrerebbe, dai pochi dati che abbiamo al momento, che venga toccata solo di striscio. Da ciò ne segue che questo sisma abbia avuto pochi effetti sulla Valle Roveto e su Civita d’Antino.

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nel XV secolo

La Valle Roveto nel XV secolo è interessato spesso dai passaggi di eserciti ora di una parte ora di un’altra. Questo continuo andare e venire degli eserciti, si collega con le continue oscillazioni politiche dovute alle lotte fra Orsini e Colonna nel controllo della Marsica. Ma le lotte fra le due famiglie, che seminano spesso terrore fra le popolazioni, sono solo una parte importante delle vicende politiche del tempo. Nel 1462 dopo il crollo dei Berardi a Celano e l’ascesa dei Piccolomini, abbiamo Ruggero Acclozamora, che perso il feudo di famiglia di Celano, si rifugia nella Valle Roveto occupando il castello di Balsorano. Acclozamora con i suoi soldati occupa Balsorano diventandone signore di fatto, e da qui arriva a controllare l’intera Valle Roveto, compresi i territori degli Orsini.

L’occupazione di Acclozamora della Valle Roveto dura qualche anno all’incirca fino al 1470 e in questo periodo organizza diversi attacchi fulminei nella contea di Celano, nella speranza di cacciare Antonio Piccolomini e riprendersi il feudo.

Questo stato di cose porta ad un continua crisi del territorio che viene dominato con la paura dai soldati di Acclozamora che impongono con la forza il dominio di questi.

Nel 1470 circa l’alleanza fra Piccolomini e gli Orsini porta alla cacciata di Acclozamora e all’occupazione della Valle Roveto. Il territorio ritorna così diviso fra la contea d’Albe e quella di Celano, con Albe che controlla buona parte della Valle Roveto e ha il suo centro principale in Civitella Roveto, mentre Celano controlla il rimanente territorio e ha in Balsorano il suo capoluogo.

Tra il 1470 e il 1497 la Valle Roveto subisce ancora numerosi passaggi di truppe che non consentono una vita tranquilla alla zona, per diversi e piccoli saccheggi o malversazioni da parte delle truppe di passaggio.

Civita d’Antino al livello politico continua ad appartenere alla contea d’Albe ed è quindi soggetta agli Orsini, per quasi tutto il secolo. Nel XV secolo l’importanza di Civita nella zona risulta notevolmente diminuita a favore di Civitella Roveto, che diventa il nuovo capoluogo della zona.

 

– La chiesa di Santo Stefano Protomartire nel XV secolo

In questo secolo la chiesa di Santo Stefano è sempre parte della diocesi di Sora, ma al contrario dei secoli precedenti la sua importanza diminuisce, in funzione anche della minore influenza che Civita d’Antino riveste nella zona.

 

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XVI secolo

 

– Civita d’Antino nel XVI secolo

Nel 1497 I Colonna battono definitivamente gli Orsini sostituendoli alla guida delle contee di Tagliacozzo e Albe.

Essi favoriscono l’ascesa degli Spagnoli a Napoli, i quali  dopo essersi consolidati nel controllo  confermano con tre successivi decreti i Colonna a capo delle contee di Albe e Tagliacozzo e anzi nell’ultimo decreto reale del 1504 questi sono elevati a duchi di Tagliacozzo.

La formazione del ducato di Tagliacozzo porta il territorio in questione ad assorbire la contea d’Albe, che cessa di esistere. Allo stesso tempo i Colonna sono anche nominati baroni della Valle Roveto, stabilendo in Civitella Roveto il capoluogo della baronia.

In questo quadro Civita d’Antino diventa un paese di secondaria importanza, e il consolidamento dei Colonna come baroni della Valle Roveto, porta la zona a una maggiore tranquillità e quindi a un minore bisogno di opere di difesa.

Il venir meno di pericoli di guerra porta ad una trasformazione urbanistica di Civita d’Antino che vede un suo allargamento al di fuori della vecchia cerchia urbana. Ciò determina piano piano l’inglobamento delle sue mura difensive nel tessuto cittadino.

Per ora però per tutto il XVI secolo le mura continuano ad essere presenti su tutti i lati e lo stesso può dirsi delle porte di accesso.

Sul piano sociale ciò che non muta è la miseria e la povertà che continuano ad essere imperanti fra la popolazione. La povera gente rozza e ignorante è costretta a vivere di sussistenza e poi le numerose  epidemie, che si verificano nel tempo tendono a decimare la popolazione e a non permettere un suo sviluppo.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano nel XVI secolo

Sul piano sociale la chiesa di Santo Stefano rimane la chiesa principale del paese di Civita d’Antino e continua a rispondere alla diocesi di Sora

Sul piano strutturale invece, dai pochi dati trovati, sembrerebbe che la chiesa di Santo Stefano nel XVI secolo sia molto carente e necessiterebbe d’interventi urgenti, soprattutto considerando la sua età molto elevata. Inoltre come accade altrove la struttura è anche sfruttata come cimitero.

 

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XVII secolo

 

– La Marsica nel secolo XVII

Nel secolo XVII l’esosità delle tasse spagnole raggiungono il culmine e conducono la Marsica con tutto il meridione italiano verso la povertà assoluta. A questo si aggiunge il clima che porta al disastro di diversi raccolti, e alcune epidemie che falcidiano la popolazione.

Il governo dei Colonna, nonostante sia ben disposto verso la popolazione e questa riconosca in loro una valida guida, non riesce quasi nulla nella mitigazione della miseria della gente.

La miseria presente nel ducato di Tagliacozzo è presente allo stesso modo nella contea di Celano, l’intera Marsica è preda dello sconforto e della angoscia per il futuro.

Ad un certo punto però sconforto e angoscia diventano rabbia e desiderio di rivalsa verso gli Spagnoli che trattano come schiavi gli Italiani.

Nel 1647 scoppia a Napoli una grande rivolta popolare contro il governo spagnolo, da qui la rivolta si espande in tutto il meridione compresa la Marsica. Qui la rivolta trova terreno fertile e in tutti i paesi della zona di tutti gli strati sociali, vi sono persone che si aggregano alla protesta.

A Celano i rivoltosi conquistano il castello e ne fanno la base della protesta. La rivolta dura un anno poi gli Spagnoli reagiscono e soffocano la rivolta.

I Marsi e tutte le popolazioni meridionali sono nuovamente prese dallo sconforto, che diventa terrore di morte qualche anno dopo con l’esplosione della grande epidemia di peste,

L’epidemia di Peste si manifesta nel 1656 in modo improvviso, seminando morte in tutto il meridione italiano. Poi altrettanto improvvisamente questa svanisce nel 1657, lasciando dietro di se migliaia di cadeveri. Nella sola Marsica la Peste ha fatto 4.000 morti, interi paesi spariscono o vengono ridotti al lumicino

Nei decenni seguenti ci vuole molto tempo prima che i vari paesi della Marsica tornino a un livello demografico simile a prima di questa ondata di peste.

 

 

– Civita d’Antino nel XVII secolo

Dal breve resoconto svolto sopra si evince la grande povertà presente nel territorio marsicano nel XVII secolo e ciò è soprattutto funzione dell’enormità delle tasse spagnole.

Paesi come Civita d’Antino si rivelano sempre più poveri e carenti di strutture adeguate alla popolazione. Il popolo molto spesso si trova ad attraversare a piedi territori brulicanti di briganti, con molte ore di cammino alle spalle, scendendo e salendo alture e questo solo per raggiungere quelle piazze presenti nel vicino stato pontificio, dove è facile commerciare poveri prodotti.

Il commercio della zona è piuttosto carente composto da prodotti poveri come uova, galline e pochi ortaggi. La gente è povera e per sostentarsi arrivano a vendere prodotti facili da produrre. Spesso poi molti pastori, sia di Civita d’Antino che della Valle Roveto, svolgendo la transumanza delle greggi si fermano nel vicino Stato Pontificio per tutto l’inverno determinando un calo nella popolazione presente. La povertà nell’economia impedisce anche uno sviluppo urbanistico. Difatti la struttura del paese pur modificatasi di poco con una certa crescita urbana, rimane quella di un antico abitato medievale. Le case poi sono fatte con materiali poveri del posto e quando avvengono terremoti o altre calamità queste non resitono.

La paura e l’angoscia ad un certo punto cedono il posto a rabbia e desiderio di rivalsa e diversi cittadini di Civita d’Antino nel 1647 decidono di unirsi alla rivolta popolare presente nel sud Italia e nella Marsica.

Alla fine però nel giro di un anno le forze spagnole hanno di nuovo la meglio e tornano a controllare il territorio. La rivolta quindi fallisce e la popolazione torna nella disperazione.

Di qui a qualche anno la situazione peggiora per la presenza della Peste che arriva nel meridione nel 1656. Questa uccide molte persone, massacrando interi paesi. Anche la Valle Roveto è profondamente colpita, nella sola Civita d’Antino sono 60 i morti. Ciò risulta evidente dai flussi della popolazione di metà Seicento, dove nel 1648 a Civita d’Antino si contano 300 unità e nel 1663 si registrano solo 240 presenze, questo è il punto più basso mai registrato a Civita.

Dopo questo momento così cupo la popolazione inizia a risalire e nel 669  si registrano 260 unità, ma ci vorranno decenni prima che Civita d’Antino si riassesti demograficamente e torni a crescere.

Nel contesto che abbiamo descritto, dobbiamo aggiungere la nuova presenza della famiglia Ferrante, proprietari terrieri, che si spostano a Civita d’Antino a inizio XVII secolo. Questi grazie al commercio della lana e tramite altre attività crescono in ricchezza e determinano un iniziale sviluppo urbanistico di Civita, partendo dalla costruzione del loro palazzo presente nel paese dall’inizio del secolo.

 

– La chiesa di Santo Stefano nel secolo XVII

Con il secolo XVII le notizie sulla chiesa di Santo Stefano si fanno via via più numerose e ciò consente di avere un quadro uniforme sullo sviluppo della chiesa.

Dalle notizie avute risulta che a inizio secolo la chiesa è in cattive condizioni strutturali e necessita di una ristrutturazione in più punti, inoltre manca di alcune parti importanti come la sagrestia.

Nel 1603 Civita d’Antino conta 300 abitanti che fanno tutti riferimento alla parrocchia di Santo Stefano. Il 2 maggio 1603 si forma la Confraternita del S.S.mo Rosario, mentre l’anno successivo il 7 ottobre 1604 nasce la Confraternita del S.S.mo Sacramento.

Nei vent’anni successivi nella chiesa non vengono svolti lavori di manutenzione o restauro e ciò porta ad un peggioramento dello stato della struttura.

Questa carenza si rende evidente durante la visita del Vescovo Giovannelli del 1617, che tra l’altro rileva mancanze nella documentazione della chiesa. Giovannelli visita la chiesa il 21 settembre 1617 e nella relazione che scrive successivamente, si rileva la sua scoperta sulla Parrocchia di Santo Stefano della mancanza delle Costituzioni, che praticamente fonda lui. In questa visita pastorale Giovannelli ordina che si facesse un libro delle Costituzioni; da ora queste saranno presenti nei documenti della chiesa. Durante la stessa visita Giovannelli scoprendo della mancanza di una sacrestia ne ordina subito la costruzione e allo stesso tempo sollecita sia la ristrutturazione del tetto della chiesa, molto compromesso, che la riparazione dei sepolcri posti sotto il pavimento dell chiesa.

Nella successiva visita del 1642 del nuovo vescovo di Sora Tamburelli non si fa menzione dello stato della chiesa, quindi è possibile che questa sia stata ristrutturata sia pure molto parzialmente tra il 1617 e il 1642. In occasione della visita pastorale a Civita d’Antino il vescovo Tamburelli inaugura l’Altare Maggiore e gli altari laterali del SSmo Rosario, del SSmo Crocifisso e di S. Barnaba.

Successivamente abbiamo la grave situazione vissuta dalla parrocchia di Santo Stefano in occasione della tragedia della Peste del 1656-57. A Civita d’Antino i morti per peste sono 60 su circa 300 abitanti. Quindi un gran numero e un gran da fare per il corpo ecclesiale della parrocchia. A ciò bisogna ricordare le tante persone passate in questa parrocchia, per pregare per la propria anima nell’imminenza della morte certa.

Passano poi alcuni anni e la Peste per fortuna è solo un triste e cupo ricordo. Tuttavia il paese ci mette molti anni per riprendersi e per tornare a crescere demograficamente. Nel frattempo la vita prosegue e nel 1663 tra il 18 e il 21 novembre giunge a Civita d’Antino il vescovo Maurizio Piccardi per una visita pastorale. La successiva relazione del vescovo sulla sua visita ci permette di descrivere in modo preciso come appare la chiesa di Santo Stefano in questo periodo.

La chiesa è a tre piani divisa in tre navate e alta più o meno quanto quella attuale. Da ciò che si è compreso, dalle fonti osservate non sempre chiare, la struttura interna vede la presenza di due zone rialzate indicate come piani. In pratica  entrando dal portone principale si avrebbe una grande sala suddivisa in tre navate, la navata centrale e le due laterali. Nella navata centrale si avrebbero due piani rialzati collegati fra loro da due scalinate.

Quindi da come si è inteso, immaginiamo di entrare in questa chiesa dal portone principale, si nota da subito l’attacco al cielo ovvero la struttura della copertura, formata da tre archi, che partendo dalla navata centrale proseguono lungo le navate laterali. Il pavimento appare lastricato, mentre le colonne e gli archi sono rivestiti di pietre lavorate.

A questo punto percorriamo la chiesa e notiamo la presenza di tre altari laterali. Sul lato destro abbiamo gli altari del Santo Rosario e del Crocifisso, mentre su quello sinistro in posizione più centrale rispetto all’altro lato vi è un altare in cemento, costruito a spese del comune e sormontato da due dipinti. Il dipinto a sinistra è dedicato a San Barnaba, mentre quello a destra è di S. Antonio Abate.

Immaginiamo ora di salire la scalinata di 8 gradini, che ci porta al primo piano rialzato. Qui troviamo dodici sepolcri composti uno per il clero di Civita e gli altri undici per i defunti di famiglie diverse.

Quini saliamo altri sei gradini e accediamo al secondo piano rialzato, dove troviamo il presbiterio. Qui abbiamo l’altare maggiore su cui domina un grande dipinto con ornamenti in noce. Questo dipinto appare diviso in due parti, la parte in basso che raffigura Santo Stefano in ginocchio mentre viene lapidato e la parte in alto la SSma Trinità. Dietro l’altare maggiore vi è poi una piccola sala dove è allestito il coro. Nella chiesa vi è poi un ulteriore saletta che rappresenta la sacrestia.

Vi è infine la Torre campanaria da cui si accede dall’esterno della chiesa. In cima a questa vi sono due campane una grande e l’altra di media grandezza.

Dalla relazione del vescovo Piccardi appare chiaro il grave stato strutturale della chiesa di Santo Stefano, quasi lasciata in abbandono.

– I dodici sepolcri sono tenuti male e in questo caso il vescovo ordina di riparare l’apertura di alcuni e riempire gli altri dopo aver estratto le ossa già presenti.

– I battenti della porta principale appaiono in grave stato di decadenza.

– Le mura della torre sono talmente fatiscenti che minacciano di crollare da un momento all’altro sulla chiesa stessa. In questo caso il vescovo ordina l’immediato restauro del campanile, la chiusura dell’entrata esterna e la creazione di un’apertura interna alla chiesa.

– Inoltre il vescovo ordina che venga costruito un nuovo altare e qui venga collocata la sua statua.

 

Passano ancora gli anni e dalle cronache trovate non si fa menzione per il secolo XVII ne di ulteriori visite pastorali, ne di successivi e urgenti restauri alla chiesa, che viene invece colpita come tutta l’area della Valle Roveto dal terremoto del 5 giugno 1688.

Il 5 giugno 1688 un gravissimo terremoto di grado 7 Mw si verifica nel Sannio vicino Benevento. I morti stimati nella zona beneventana sono 4.000 su una popolazione complessiva di 8.000 persone. La scossa oltre a colpire tutta la Campania fa sentire i suoi effetti anche nelle regioni vicine. Nella Valle Roveto la scossa sismica appare piuttosto sfumata e i danni per questa sembrerebbero non gravi.

Tuttavia una scossa di questa magnitudo si è sicuramente avvertita in modo distinto anche Civita d’Antino, provocando se non danni comunque ulteriori problemi alla chiesa madre. Infatti la chiesa di Santo Stefano pur rimanendo in piedi intatta, risente abbastanza della scossa, che comunque ne aumenta le fragilità di una struttura che appare già lesionata.

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XVIII secolo

 

– La Marsica nel secolo XVIII

All’inizio del 700 la Marsica si trova ancora in una situazione di perdurante crisi, ma alcuni raccolti andati bene, una certa stabilità politica e altre condizioni favoriscono una lenta ripresa e una nuova crescita demografica.

Purtroppo a inizio secolo due nuovi importanti sismi interessano direttamente l’Abruzzo e di riflesso la Marsica. Il primo sisma si verifica all’Aquila nel 1703 e il secondo interessa la zona della Majella nel 1706. Entrambi i sismi sono altamente distruttivi e producono migliaia di morti e moltissimi danni.

Nella Marsica entrambi i terremoti si sentono molto bene e producono numerosi danni nella zona Fucino, come avvenuto ad Avezzano dove la chiesa di S. Bartolomeo crolla per il sisma del 1703.

Nella Valle Roveto le scosse sono forti e anche qui si contano diversi danni. A Civita d’Antino le due scosse scuotono ulteriormente la chiesa di S. Stefano producendo ulteriori danni alla struttura, già gravemente compromessa.

Superata questa crisi sismica, nella Marsica si respira un’aria nuova di positività, data dalla ferma volontà della popolazione di ricostruire le strutture danneggiate dai terremoti e di riprendersi sul piano sociale.

Questo iniziale periodo di speranza si consolida con il tempo, seppure tra numerose difficoltà locali che rallentano il percorso. Nel ducato di Tagliacozzo la continuità dinastica dei Colonna assicura al territorio stabilità politica, che facilita una certa ripresa del territorio. Nella contea di Celano assistiamo invece a nuovi cambi di proprietà, che troveranno pace solo a metà secolo. Ciò per la contea celanese non va bene poichè genera instabilità politica che favorisce la crisi economica.

Più in generale nel 1707 il meridione italiano passa dal controllo della Spagna a quello dell’Austria. Il cambio di corona nel meridione d’Italia diventa ufficiale solo nel 1713 con il trattato di Utrecht.

Il periodo di dominazione austriaca nel meridione italiano dura fino al 1734 e non muta quasi per nulla la situazione economica, che rimane stagnante e piena di problemi sociali. Lo stesso può dirsi  in Abruzzo dove l’economia continua a non essere buona, anche se qui si registrano alcune eccezioni, che portano alcune zone a stare meglio e una fascia di popolazione ad emergere socialmente.

Tra le zone dove si registra questo miglioramento vi è anche il ducato di Tagliacozzo, dove l’economia pur rimanendo in una condizione non buona tende a risalire, permettendo ad una piccola fascia sociale di migliorare molto la sua condizione e allo stesso tempo anche la popolazione più povera beneficia di questa situazione generale.

Nel 1734  avviene infine un ultimo cambio di regime, che porta alla rinascita del regno di Napoli e Sicilia sotto la nuova dinastia dei Borbone. La nuova dinastia rappresentata prima da Carlo di Borbone e poi dal 1759 dal figlio Ferdinando apporta dei cambiamenti amministrativi, che contribuiscono a migliorare la situazione economica generale anche della Marsica.

La Marsica nel primo periodo borbonico 1759-98 consolida, seppure in modo lieve, il suo miglioramento economico già in atto, perdurando all’incirca fino al 1770-1775. Poi a causa di un certo cambiamento climatico la situazione cambia e l’economia ritorna a peggiorare.

Le migliori condizioni economiche presenti nei due grandi feudi marsicani, della contea di Celano e maggiormente nel ducato di Tagliacozzo si traducono in una discreta crescita demografica, che portano i paesi e i borghi a rinascere dopo il triste periodo del XVII secolo.

Anche sul piano urbanistico si registra una certa ripresa, composta dalle tante ristrutturazioni di edifici pubblici danneggiati dai terremoti o in stato di abbandono, presenti nei vari paesi e borghi del territorio.

Tra gli edifici più interessati a questa edilizia figurano le chiese, che vengono o ristrutturate o completamente ricostruite a causa dei vari crolli avuti con i terremoti, o per l’incuria vissuta nella lunga fase di crisi del XVII secolo.

 

 

– La Valle Roveto nel secolo XVIII secolo

A differenza di altre parti della Marsica, la Valle Roveto è una delle zone dove minori sono gli effetti della piccola ripresa economica in atto in questo secolo.

Questo risulta evidente da diverse situazioni, prima fra tutte le caratteristiche fisiche del territorio, che rendono scarsa l’attività agricola e povere le attività commerciali. Queste ultime sono infatti fra le più condizionate dalla struttura montuosa della valle, poichè la popolazione per commerciare con il confinante stato pontificio è costretta ad attraversare continuamente i passi montuosi e questo non solo rallenta il commercio, ma tutte le attività di scambio con gli altri territori.

A ciò si aggiungono le numerose azioni di banditismo perpetrate dai briganti ai danni delle povere popolazioni della valle.

Tuttavia nonostante queste condizioni, anche nella Valle Roveto si registra una certa crescita demografica che consente a numerosi borghi di ripopolarsi, superando così la crisi del secolo precedente.

 

– Civita d’Antino nel secolo XVIII secolo

Civita d’Antino come tutti i paesi della Valle Roveto non risente quasi per nulla della piccola ripresa economica in atto nella Marsica fucense. Tuttavia qui la presenza della famiglia Ferrante consente al borgo di migliorare in alcuni aspetti, prima di tutto culturali e poi anche sociali.

Questa famiglia già in fase ascendente nel XVII secolo, migliora ulteriormente le sue rendite economiche e di conseguenza la sua posizione sociale, diventando in modo definitivo la guida politica del piccolo borgo. I Ferrante hanno in Civita d’Antino la loro base, per cui tutte le iniziative strutturali e sociali che organizzano per migliorare la loro posizione, ha in qualche modo una ricaduta positiva sul borgo, apportando miglioramenti se non economici, ma sicuramente sociali.

Sul piano culturale il circolo artistico e letterario che i Ferrante creano nel corso del secolo ha una ricaduta positiva su tutto il borgo. Nel piccolo paese ci sono diverse famiglie che tendono a ruotare sul piano economico attorno ad essi.

I Ferrante, per quel che si è inteso, intervengono anche sulla ricostruzione della chiesa di Santo Stefano con un sostegno economico e organizzativo, dopo il crollo di questa avvenuto nel 1762.

Il dato comunque più significativo di questa piccola ripresa in Civita d’Antino sta nella sua crescita demografica, che passa dai 260 abitanti del 1669 ai 1541 del 1779. Sicuramente all’interno di questo periodo si avvertono ancora diverse oscillazioni, ma sicuramente il paese sul piano demografico si è ripreso completamente dal triste periodo del XVII secolo.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano nel XVIII secolo

 

Verso il crollo della chiesa (1703-62)

Come accennato precedentemente il secolo XVIII si apre con due importanti terremoti che avvengono in Abruzzo, il sisma dell’Aquila del 1703 e della Majella del 1706. Entrambi i sismi sono altamente distruttivi portando miseria e morte nelle zone colpite.

La Marsica è interessata dai due sismi, ma pur riportando molti danni, risulta colpita in modo superficiale. Tra i due sismi quello che fa più danni è quello dell’Aquila del 1703 e nella Valle Roveto, dai pochi dati in nostro possesso, non risultano danni rilevamenti.

Tuttavia entrambe le scosse si sentono fortemente e nel caso della chiesa di Santo Stefano, seppure non ne provocano il crollo sicuramente la danneggiano ulteriormente.

Il 9 maggio 1708 dopo 45 anni dall’ultima visita pastorale, un nuovo vescovo di Sora, Matteo Gagliani, è in visita a Civita d’Antino.  Matteo Gagliani, vescovo di Sora nel 1703-17, visita la parrocchia di Santo Stefano di Civita d’Antino e dalla sua relazione abbiamo notizia del notevole peggioramento delle condizioni della chiesa e del fatto che non vi fosse stato apportato alcun miglioramento in seguito alla visita del vescovo Piccardi del 1663.

Dalla sua relazione risulta che  la chiesa appare trascurata e in condizioni fatiscenti, sicuramente gli ultimi sismi non hanno fatto altro che peggiorare le sue condizioni.

Il 20 novembre 1711 abbiamo una nuova visita pastorale condotta da due messi del vescovo Gagliani non in buona salute. I due messi, ovvero il Canonico Giovanni Pietro Parente e l’Abate Nicola Celli, visitando la parrocchia di Santo Stefano non possono far altro che constatare l’ulteriore decadimento dell’edificio religioso di Santo Stefano. Essi si accorgono che l’umidità è presente ovunque nelle pareti della chiesa e questa ha ridotto fortemente la stabilità della struttura. Ad uno sguardo anche superficiale si nota bene come tutte le pareti interne abbiano perso l’intonaco in molti punti, le crepe appaiono ovunque e il pavimento è scavato in più parti.

I due messi vista la grave situazione ordinano all’Abate della chiesa di procedere immediatamente a un restauro generale pena l’interdetto ecclesiastico. Essi chiedono di riparare ogni cosa presente nell’edificio di Santo Stefano dalle suppellettili agli altari, dalle pareti alle tele, dal tetto al pavimento e proibiscono di costruire nuove tombe nella chiesa per evitare ulteriori scossoni.

Dopo quest’ultima visita pastorale non si ha notizia di nuove presenze dei vescovi nei successivi decenni. Le riparazioni ordinate da due messi del vescovo non vengono realizzate, non sappiamo per quale motivo, forse per mancanza di soldi o altro. Fatto sta che la chiesa dura fino al 1762 poi avviene il crollo.

 

Il crollo della chiesa (1762)

Come abbiamo detto la chiesa dopo l’ultima ricognizione vescovile del 1711 non abbiamo ulteriori. visite pastorali. Passano ancora 40 anni senza alcun intervento restaurativo e nel 1762 avviene l’inevitabile crollo.

Dalla cronaca nulla si sa del mese e del giorno in cui si ha il crollo della chiesa, ma si conosce con certezza l’anno che è appunto il 1762.

In base alla relazione della nuova visita pastorale del vescovo Taglialatela nel 1767 sappiamo di una nuova chiesa che è stata eretta al posto della precedente con lo stesso nome. Da qui possiamo fare alcune considerazioni.

 

La ricostruzione e l’inaugurazione della nuova chiesa di Santo Stefano (1762-67)

Il 31 maggio 1767 il vescovo Taglialatela visita la parrocchia di Santo Stefano e nella sua relazione viene dichiarata la presenza di una nuova chiesa dedicata a Santo Stefano Protomartire, posta in un luogo molto vicino alla precedente struttura.

In realtà la chiesa non è ancora stata aperta in quanto mancante della benedizione ufficiale, tuttavia veniamo a sapere che dopo il crollo della vecchia chiesa, l’intera cittadinanza a cominciare dal comune, procedono immediatamente alla ricostruzione del nuovo edificio religioso.

Molto probabilmente il crollo della vecchia chiesa, annunciato da tempo viste le sue condizioni, ha scosso profondamente la cittadinanza e per questo tutti hanno provveduto a una ricostruzione quanto più veloce possibile.

In base a un documento datato 18 giugno 1760, quindi due anni prima del crollo, appartenente al notaio Saverio Gemmiti di Sora, si viene a sapere dell’esistenza del progetto di ricostruire completamente la chiesa di Santo Stefano, probabilmente ragionando sui mancati interventi la struttura era giudicata irrecuperabile.

Fatto è che questo progetto diventa esecutivo nel 1762 e tra la costernazione di tutti si cercano da subito i fondi per la ricostruzione. Il comune di Civita d’Antino pur molto motivato non dispone della somma necessaria all’intervento, per cui per trovare questi fondi urgenti sono intervenuti generosi cittadini (molto probabilmente anche i Ferrante) del paese che hanno garantito con la loro firma un prestito di 600 ducati contratto con la signora Caterina Tuzi di Sora.

Una curiosità importante emerge dalla stipula del prestito ovvero la data della firma che è il 5 marzo del 1762. Da ciò ne scaturisce che il crollo della chiesa di Santo Stefano deve essersi  verificato tra gennaio e febbraio del 1762. Ciò ne viene perchè si è stabilito con sicurezza che il crollo della chiesa sia avvenuto nel 1762.

Tornando alla relazione del vescovo Taglialatela emergono alcuni dati significativi: il primo riguarda la data della relazione vescovile fatta nel 1767 a cuo ne segue che la ricostruzione della chiesa sia avvenuta nel 1762-67. Il secondo dato riguarda il Seminario di Sora, che viene citato come contribuente per la costruzione della chiesa, versando 50 ducati per un periodo di sei anni. Il terzo dato riguarda gli altari, ovvero nella relazione è scritto che gli altari laterali presenti nella chiesa sono quattro dedicati rispettivamente a a Santa Maria Maddalena, San Barnaba, al Rosario e a San Rocco.

Infine dalla relazione sappiamo che il giorno dopo 1 giugno 1767 il vescovo Taglialatela consacra in modo solenne l’Altare Maggiore in onore di Santo Stefano Protomartire, chiudendo nella sacra mensa le relique di S. Filippo Neri.

 

La visita del vescovo YBritto nel 1769

La chiesa di Santo Stefano costruita nel 1767, in un dipinto dei pittori danesi della fine del XIX secolo

 

Due anni dopo il 19 settembre 1769 abbiamo la visita del nuovo vescovo di Sora YBritto alla chiesa di Santo Stefano. Dalla relazione di questo vescovo emerge una chiara descrizione della nuova chiesa.

Dalla relazione emerge che

1) la Chiesa ha una sola volta di forma ovale

2) l’Altare Maggiore artistico è tutto in gesso e su di esso domina l’immagine di Santo Stefano. Inoltre sull’altare maggiore figura anche il quadro della Madonna della Ritornata

3) le cappelle laterali con i relativi altari sono quattro dedicati rispettivamente a Santa Maria Maddalena, San Barnaba, al Rosario e ai 7 dolori di Maria. In quest’ultimo altare è presente la statua di San Rocco. Nella stessa relazione si descrivono le suddette cappelle che appaiono elegantemente lavorate e adorne di varie e belle pitture

 

La visita del vescovo YBritto nel 1783

Nel 1783 una nuova visita del vescovo di Sora YBritto c’informa dell’avvenuta costruzione della nuova torre campanaria della chiesa di Santo Stefano posta a levante. Inoltre nella relazione del vescovo si dice che l’altare dedicato a Santa Maria Maddalena non presenta ancora l’immagine della Santa. Mentre il quadro della Madonna della Ritornata si trova collocato nell’altare di S. Barnaba

 

 

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XIX secolo

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nel XIX secolo

Nel 1798 i Francesi invadono il regno di Napoli, ma la grande protesta popolare porta al successivo ritiro di questi nel 1800 e al ritorno del vecchio re Ferdinando. Il nuovo periodo di Ferdinando dura solo pochi anni fino al 1806 e il popolo che si aspettava più riconoscenza da parte del re per l’opposizione ai Francesi, rimane deluso.

Nel frattempo Ferdinando IV interviene nel 1805 nella coalizione antifrancese, che viene però  sconfitta poco dopo da Napoleone. Lo stesso accade alle truppe di Ferdinando che vengono sconfitte presso Campotenese nel 1806.

Successivamente le truppe francesi occupano nuovi territori in Europa. In Italia tra i territori conquistati figura anche il regno di Napoli. Qui le truppe napoleoniche dopo la vittoria di Campotenese invadono il regno di Napoli passando anche per la Valle Roveto.

In questo caso la popolazione non interviene, lasciando cacciare nuovamente il re. In questa nuova invasione non vi sono scontri come avvenuto qualche anno prima e tranne qualche caso sporadico come Michele Pezza detto Fra Diavolo, nessuno prende le difese di Ferdinando. Michele Pezza è un uomo spregiudicato che prende apertamente le difese di Ferdinando organizzando con la sua banda continue incursioni contro le truppe francesi nel centro Italia. Tra le zone più interessate a questo banditismo vi è anche la Valle Roveto. I Francesi impiegano alcuni mesi per avere ragione di Fra Diavolo che alla fine viene preso e impiccato l’11 nov 1806. I Francesi nell’avere ragione di Michele Pezza arrivano a devastare diverse zone tra cui alcune della Valle Roveto presso Balsorano. I poveri abitanti della Valle Roveto si ritrovano ancora una volta a dover fare i conti con truppe straniere che devastano il loro territorio e in alcuni casi anche i loro paesi.

I Francesi rimangono al governo del regno fino al 1815 con i regni di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, intervenendo in molte questioni attraverso numerose riforme.

Tra le riforme più significative vi sono l’abolizione dei diritti feudali nel 1806, che determina la fine del ducato di Tagliacozzo e il conseguente governo dei Colonna. A questa riforma ne seguono altre che riorganizzano al livello amministrativo il regno napoletano. Nella Valle Roveto abbiamo la formazione di tre comuni centrali che assorbono tutti gli altri paesi.

Civita d’Antino figura come uno dei tre comuni centrali arrivando a controllare i paesi di S. Vincenzo Valle Roveto, Morrea, Castronovo e Morino. Questa situazione dura fino al 1816, poi si cambia di nuovo.

Nel 1815 i Francesi sono nel frattempo decaduti e i Borbone fanno ritorno a Napoli con il vecchio re Ferdinando nella nuova denominazione di Re delle Due Sicilie.

Con i Borbone da subito nel 1816 si hanno nuovi cambiamenti amministrativi nella Valle Roveto e nella Marsica. Civita d’Antino rimane comune centrale, ma subisce la separazione di S. Vincenzo Valle Roveto che diventa comune a se portandosi dietro anche Morrea.

Civita d’Antino rimane comune centrale con Rendinara e Morino. Questa aggregazione rimane stabile fino al 1831 allorquando Morino e Rendinara abbandonano Civita, che rimane da sola.

Al livello demografico nel 1816-31 Civita d’Antino insieme a Rendinara e Morino contano 2730 abitanti nel 1816, 2796 nel 1820 e 2959 nel 1831. Infine vediamo che nel 1838 la sola Civita d’Antino conta 1687 abitanti.

Tra il 1815 e il 1860 Civita d’Antino come tutta la Valle Roveto continuano a vivere in uno stato di perenne crisi economica, con una popolazione per il 96-98% ignorante. Durante il periodo borbonico complice anche un clima non sempre favorevole si verificano diverse epidemie, mai veramente grandi, ma pur sempre gravose per la popolazione.

Questa situazione appare un po’ mitigata a Civita d’Antino dove la postazione in altura favorisce comunque un certo ricambio d’aria rispetto a borghi che si trovano più in basso.

Tuttavia c’è da riconoscere che il periodo borbonico pur fra tante contraddizioni avvia un controllo più incisivo sul meridione italiano, consentendo una valida risoluzione dei problemi. Per esempio Ferdinando II nella sua visita nella Valle Roveto nel 1832 si rende conto della mancanza di una strada carrozzabile, che consenta una veloce traversata dell’esercito in caso di necessità. Da qui abbiamo la realizzazione della prima strada carrozzabile nella Valle Roveto che viene terminata nel 1844. Tutti i paesi della Valle Roveto presenti lungo il fiume Liri beneficiano di questa strada, solo quelli posti sulle alture hanno problemi come Civita d’Antino.

Nel 1836 una frana causa la chiusura per qualche tempo dell’unica strada di percorrenza tra Civita e il fondovalle.

Oltre a ciò abbiamo negli anni 1820-1845 la realizzazione dei primi acquedotti e fontane cittadine che portano notevole beneficio alle popolazioni. Per esempio a Civita d’Antino nel 1824 si ha la realizzazione del primo acquedotto, che apporta un notevole miglioramento di vita. Allo stesso modo vediamo la realizzazione delle prime fontane nel 1840 nei paesi di Meta e Canistro, ecc.

Tornando a Civita d’Antino notiamo l’importante presenza della famiglia Ferrante, da sempre guida politica autorevole del paese, è per questo un costante riferimento sociale.

Con il secolo XIX i Ferrante raggiungono il picco della loro ascesa e ciò grazie alla loro amicizia con la casa reale borbonica. I Ferrante nel corso del primo ottocento dimostrando una grande capacità politica, divengono persone di fiducia di Francesco I e proseguono nel rapporto con i reali con il figlio Ferdinando II. I rapporti tra i Ferrante e Ferdinando II si mantengono buoni fino al 1848 per avere un raffreddamento e un allontanamento dato da una visione politica diversa.

Nel frattempo però la capacità dei Ferrante, nel crescere politicamente, arrivando a ricoprire incarichi pubblici importanti, comporta un certo ritorno in positivo anche per Civita d’Antino.

Il paese di Civita d’Antino ottiene dai Ferrante benefici e gloria, come quando nel 1832 il re Ferdinando II è in visita a Palazzo Ferrante. In generale essi si rivelano dei buoni amministratori capaci e lungimiranti.

I rapporti tra i Ferrante e Ferdinando II sono molto buoni fino al 1848, allorquando i rapporti si allentano fino a subire un certo raffreddamento a causa di una differente visione politica. Questi  dal 1848 si avvicinano sempre più alla causa nazionale fino ad arrivare ad appoggiare la successiva rivoluzione garibaldina.

Negli anni 1850 la politica di chiusura di Ferdinando II indebolisce la monarchia borbonica e quando Garibaldi prova a conquistare il meridione italiano nel 1860 trova un terreno molto fertile. La rivoluzione di Garibaldi funziona e nel giro di poco tempo le truppe di Francesco II sono sconfitte in più riprese, fino a provocare la fuga del re da Napoli e la fine del regime borbonico.

Di qui a poco tempo Garibaldi consegna il meridione italiano nelle mani di Vittorio Emanuele di Savoia, consentendo poi la formazione di un Italia unita. Il progetto dell’unificazione nazionale si completa poi nel giro di qualche mese, precisamente il 17 marzo 1861, allorquando Vittorio Emanuele di Savoia è proclamato primo re d’Italia.

Tuttavia la nuova unificazione politica non piace a molti e nel sud Italia sono in tanti ad essere nostalgici dei Borbone. In Abruzzo la popolazione ignorante e sobillata dalla chiesa si mostra apertamente contraria ai Savoia. Questo genera la base di una strana alleanza, ovvero l’accordo fra briganti, popolo abruzzese e il re Francesco II.

Francesco II ultimo re borbonico, rifugiatosi a Roma dal Papa, tenta un’ultima disperata azione per riprendersi il regno di Napoli, ovvero un’alleanza con alcune bande di briganti. Egli manda dei messaggeri presso queste bande. I Briganti venuti a sapere della richiesta di Francesco inizialmente accettano l’alleanza. Francesco ha promesso loro d’integrarli in un suo futuro esercito  se essi accettano di aiutarlo a riprendersi il regno. Le bande che aiutano Francesco II sono diverse, ma in Abruzzo, nella Marsica soprattutto che Francesco ha la sua roccaforte.

Qui l’influenza della chiesa è fortissima. I parroci sono tutti favorevoli a Francesco e convincono la popolazione ignorante ad appoggiarli. La popolazione si fida totalmente dei preti, in quanto essi costituiscono la maggiore autorità locale e anche se essi temono i briganti accettano inizialmente di aiutarli.

Il governo sabaudo venuto a conoscenza del pericolo manda la polizia in Abruzzo e in tutto l’Appennino meridionale per sradicare il brigantaggio e ogni azione di Francesco.

Tra il 1861 e 1863 le operazioni della polizia sabauda trovano molti ostacoli e non riescono completamente a debellare il fenomeno del brigantaggio. Allorquando i briganti stufi dell’alleanza con Francesco II tornano a compiere le loro azioni di saccheggio e omicidio contro le popolazioni locali, la popolazione smette di appoggiarli e a poco a poco inizia a fidarsi della polizia sabauda e quindi del nuovo stato italiano.

In questo modo tra grandi fatiche e pericoli e con molto tempo la polizia sabauda riesce ad avere ragione dei banditi, sterminandoli nei successivi anni. Nel 1870 si registrano gli ultimi  scontri tra banditi e forze sabaude, l’Italia vince e i briganti sono definitivamente annientati.

In tutto ciò sappiamo da diverse fonti che la Valle Roveto si dimostra un teatro perfetto per molte azioni di guerriglia dei briganti contro la polizia e di molte azioni della polizia contro i briganti.

In questa vera e propria guerra tutti i paesi della Marsica sono coinvolti direttamente e indirettamente. In questa sede tralasciamo i fatti che discuteremo nella sezione generale di storia della Marsica.

Nel decennio 1860-70 Civita d’Antino si trova coinvolta indirettamente nelle azioni di guerriglia tra briganti e polizia italiana. Diversi cittadini di Civita sono coinvolti nelle azioni e alcuni di questi vengono uccisi dalla polizia perchè giudicati dei banditi.

Sul piano politico Civita è guidata dai Ferrante, che con sapiente capacità preparano per Civita il suo periodo d’oro. Enrico Ferrante è il primo sindaco di Civita d’Antino fino al 1868, anno della sua morte. Successivamente è Filippo Ferrante, nipote del precedente a divenire sindaco del paese rimanendo in carica per molti anni, favorendo con la sua capacità un certo sviluppo del paese.

 

Civita d’Antino tra fine 800 e inizio 900 in un dipinto dei pittori danesi

 

Certo Civita d’Antino rimane un paese di montagna con tutte le sue difficoltà di vita a cominciare da un’economia mai florida, ma a partire dal 1883 la presenza dei pittori danesi, che fissano nel paese la loro residenza artistica, porta Civita d’Antino a migliorare la sua condizione sociale, ritornando per la prima volta da 2000 anni un paese importante sul piano di guida culturale della Valle Roveto.

 

Civita d’Antino tra fine 800 e inizio 900 in un dipinto dei pittori danesi

 

La presenza dei pittori danesi trova nella popolazione di Civita d’Antino grande sostegno, che si manifesta in tanti modi e altrettanto si dica dei pittori danesi, che entusiasti del paese per i suoi paesaggi e per la sua gente tanto ospitale, rimangono qui per 30 anni fino al 1914.

La presenza dei pittori danesi si deve inizialmente ai Ferrante che invitano nel loro palazzo nel 1883 il pittore danese Kristian Zahrtmann che osservando il paese se ne innamora, convincendo molti altri suoi colleghi a seguirlo qui. Risultato è la nascita di una scuola di pittura impressionista qui a Civita d’Antino.

Nonostante una certa ripresa culturale e sociale per questi pittori Civita rimane un paese povero e sono molti che dal paese partono verso l’estero in cerca di fortuna.

Sul piano demografico il paese conta 1823 unità nel 1861 che tendono a diminuire nel corso degli anni arrivando infine ad assestarsi intorno alle 1500 unità. Si passa così dai 1823 del 1861, ai 1515 del 1871,  ai 1481 del 1901.

 

– La chiesa di Santo Stefano nel XIX secolo

Al momento non abbiamo notizie sulla storia della chiesa relative al periodo francese e quindi riguardo alla storia della struttura nel XIX secolo partiamo dal periodo borbonico.

Nel 1815 dopo la caduta di Napoleone tutti gli stati filo-francesi decadono e al loro posto tornano i vecchi governi monarchici pre-rivoluzionari. Questo per il regno di Napoli significa il ritorno dei Borbone con il vecchio re Ferdinando IV, ora Ferdinando I delle Due Sicilie.

Il periodo borbonico va dal 1815 al 1860 comprendendo una fase densa di avvenimenti. Riguardo la chiesa di Santo Stefano di Civita d’Antino iniziamo dal 1819, allorquando il comune di Civita delibera l’accollamento dell’intero debito rimanente riguardo le spese di costruzione della chiesa del paese contratte nel 1762.

In questo modo il Comune, accollando a se tutte le spese rimanenti del debito, libera tutti i privati cittadini e i loro eredi dal pagamento dello stesso, che nel 1762 si erano fatti garanti per il comune al momento della stipula del contratto.

Il comune di Civita d’Antino dopo 56 anni ha già pagato 400 dei 600 ducati occorsi per la costruzione della nuova chiesa nel 1762 e ora decide di estinguere il rimanente debito con i proventi derivanti dall’affitto del mulino comunale.

Sul piano strutturale la chiesa negli anni napoleonici e poi negli anni 1815-20 non ha subito cambiamenti continuando a presentarsi nello stesso modo della fine del XVIII secolo.

La chiesa di Santo Stefano rimane per i civitiani il punto di riferimento religioso e sociale più importante del paese.

Nel 1839 abbiamo la visita pastorale del vescovo di Sora Giuseppe Montieri. Questi nella sua relazione racconta che la chiesa non ha subito cambiamenti nell’ultimo periodo e ricorda che in questa sono presenti quattro altari laterali, ovvero gli altari della Madonna della Ritornata, di Santa Maria Maddalena, del Crocifisso e del Rosario.

Dopo questa visita non si hanno più notizie della struttura fino al 1873. Tuttavia dobbiamo ricordare il ruolo delle chiese locali nel periodo successivo all’unità nazionale, sottoforma di casse di risonanza per il sostegno alla causa borbonica. In altre parole potrebbe essere che data l’altissima autorità morale e politica, che i preti hanno in questa fase nei loro borghi, anche a Civita d’Antino essi potrebbero aver sobillato la folle a reagire contro le truppe sabaude, che cercano di soffocare le bande dei briganti.

Al momento non abbiamo dati al riguardo, quindi quanto detto potrebbe essere non valido, però la Valle Roveto è stata al centro di numerosi episodi di brigantaggio e si sa che all’inizio le popolazioni appoggiano anche indirettamente per un breve periodo i briganti contro i Savoia. Per ora tuttavia terminiamo qui quanto accennato, riservandoci di ritornarci più avanti in base a dati rilevati e sicuri.

Accennando a quanto detto siamo quindi entrati nella fase dell’Italia unita. I Borbone sono stati detronizzati nel 1860 in seguito alla rivoluzione garibaldina, che ha portato poi il meridione italiano a unirsi alle regioni del nord Italia nella formazione del nuovo stato nazionale italiano. Questo è stato poi proclamato il 17-3-1861 assegnando a Vittorio Emanuele di Savoia il titolo di Re d’Italia.

Tralasciando qui tutti i particolari politici derivanti dall’unità italiana per la Valle Roveto, proseguiamo a parlare della chiesa di Santo Stefano.

Nel 1873 abbiamo notizia della risposta del parroco della chiesa di S. Stefano, Antonio Alfonsi, alla circolare del Vescovo di Sora Paolo De Niquesa (1872-78).

 

La chiesa di Santo Stefano costruita nel 1767, in un dipinto dei pittori danesi della fine del XIX secolo

 

In questa lettera il parroco Alfonsi rassicura il vescovo sulla stabilità delle mura della chiesa di Santo Stefano e lo fa descrivendo la chiesa fatta da mura solide con forma a croce greca, avente nella zona est la porta d’ingresso e a mezzogiorno l’altra che immette nella sacrestia.

In pratica Alfonsi risponde al Vescovo che la chiesa è sicura e che non ha subito cambiamenti rispetto alla visita pastorale di Moltieri del 1839.

Siamo quindi arrivati all’epoca dei pittori danesi 1883-1914. Di questo periodo sappiamo della straordinaria crescita culturale e sociale presente a Civita d’Antino che pur rimanendo un borgo di montagna con povera gente, tende a svilupparsi, diventando in breve il centro culturale più importante della Valle Roveto. Sul piano economico tuttavia il borgo non va benissimo e molta gente decide di partire per l’estero in cerca di fortuna.

Come avvenuto per altri borghi della Marsica le chiese locali, quindi anche la chiesa di Civita d’Antino, sono costante meta di consiglio e supporto nelle decisioni importanti o semplicemente ci sono parroci che conoscendo le famiglie e le loro situazioni cercano di aiutarle come possono.

Fatto sta che anche Civita d’Antino, nonostante la sua grandissima stagione artistica in corso, deve fare i conti con un forte spopolamento per motivi economici e questo a partire dalla fine del XIX secolo.

 

 

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XX secolo

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino all’inizio del XX secolo

All’inizio del secolo la Valle Roveto vive finalmente un periodo di pace dopo tante pene vissute nel tempo passato. Tutti i paesi della zona vivono un periodo di rinascita urbanistica, ma non economica. L’area rovetana si viene meglio strutturando al livello di vie di comunicazione e questo favorisce i commerci e i contatti fra i paesi. Sicuramente sul piano economico le cose iniziano a migliorare, ma non abbastanza da impedire a moltissime persone della valle di partire in cerca di fortuna. Le destinazioni principali delle popolazioni della Valle Roveto sono USA, Canada e in minor misura i paesi del Sud America.

La maggior parte degli italiani che giungono negli USA svolgono i lavori più umili sia nelle grandi città che nei piccoli centri di campagna. Per esempio sono tante le persone che vanno a lavorare nelle miniere, e tanti altri che svolgono lavori pericolosi nelle grandi città americane come nei cantieri edili. Riguardo a quanto accennato sui lavori svolti dalla laboriosa e brava gente della Valle Roveto in USA, merita qui di essere ricordata la tragedia di Monongah. La tragedia di Monongah avvenuta il 6 dicembre 1907 è il più grave incidente che ha colpito l’emigrazione italiana ed è consistita nel crollo di alcune gallerie della miniera presente a Monongah. In questo gravissimo incidente, che in USA è ricordato come il più grave disastro minerario mai avvenuto, sono morte circa 1000 persone. Di questi 171 sono italiani emigrati e fra essi vi erano molti abruzzesi, tutti della Valle Roveto, ovvero di Civitella Roveto, Civita d’Antino e Canistro.

L’intera Civita d’Antino vive malissimo la tragedia di Monongah nel 1907, nel paese sono in molti a piangere i parenti lontani morti in questo incidente. A questo proposito ricordiamo che le persone emigrate di Civita d’Antino sono molte, tanto che quasi ogni famiglia del borgo ha parenti emigrati. Per cui questa tragedia è estremamente avvertita nel paese.

Comunque il paese di Civita d’Antino vive ai primi del XX secolo la sua età dell’oro sul piano culturale e sociale, grazie al proficuo lavoro dei pittori danesi, che eleggono questo paese come sede della loro scuola di pittura.

 

Pranzo dei pittori danesi presso la locanda Cerroni alla fine del XIX secolo

 

La locanda Cerroni è la loro base, e viene spesso chiamata anche “Casa Cerroni”, poichè qui i pittori dormono, mangiano, ma soprattutto lavorano e con successo. Tanto è vero che i dipinti danesi di Civita d’Antino rappresentano un pietra miliare dell’evoluzione artistica nella Marsica e riscuotono già un buon successo nel momento di massimo fulgore della scuola di Civita.

 

Scena pittorica di vita nei campi intorno a Civita d’Antino tra fine XIX e inizio XX secolo

 

Soprattutto però questi dipinti raffigurano l’identità del popolo marso tra fine XIX e inizio XX secolo diventando la migliore testimonianza delle tradizioni e della vita di Civita d’Antino e della Marsica.

 

Scena di donne di Civita d’Antino che vanno verso la fonte per raccogliere l’acqua tra fine XIX e inizio XX secolo

 

Con l’esperienza dei pittori danesi si fissa in modo pieno gli attimi di vita e il modo in cui essa scorre in questo paese e nella Marsica in genere, con scene di vita rurale come la coltivazione nei campi, o il trasporto dell’acqua dalla fonte alle case.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano all’inizio del XX secolo

La chiesa di Santo Stefano tra fine XIX e inizio XX secolo ritratta dai pittori danesi

 

All’inizio del secolo la chiesa di Santo Stefano continua ad ergersi forte e sicura sul piccolo borgo di Civita d’Antino. La chiesa con la sua forma a croce greca continua ad essere un sicuro rifugio di fede per una popolazione estremamente devota e tradizionalista.

Questa devozione e tradizione popolare è bene in luce detto nel dipinto della “processione di San Lidano”, dipinto dei pittori danesi realizzato negli anni 1890.

 

Processione di San Lidano a Civita d’Antino alla fine del XIX secolo

 

Questo dipinto più di ogni altro rappresenta in pieno il grande legame esistente fra la popolazione della Marsica, in questo caso di Civita d’Antino, e la religione.

In questo si osservano i fedeli inginocchiati in preghiera, le giovani donne e i confratelli in processione, il grande baldacchino che avvolge le statue dei santi. Tutto ciò rappresenta un vero e proprio repertorio folklorico di pietà popolare marsicana, con sullo sfondo la facciata rossa di Palazzo Ferrante.

Quanto detto conferma il forte legame fra la popolazione di Civita d’Antino e la religione e quindi fra la popolazione e la chiesa di Santo Stefano.

 

 

 

– Il terremoto del 1915 nella Valle Roveto e a Civita d’Antino

Il 13 gennaio 1915 un tragico terremoto colpisce al cuore la Marsica, seminando morte e distruzione nella maggior parte dei paesi della zona. La scossa che distrugge la Marsica si verifica presso Gioia dei Marsi con una potenza di 7 Mw propangadosi in pochi secondi in tutto il territorio. Le vittime complessive della scossa ammontano a più di 30.000.

La Valle Roveto risulta una delle zone della Marsica più colpite dal sisma. Tutti i paesi della valle sono distrutti o gravemente danneggiati. Civita d’Antino risulta semidistrutta con 39 morti. Nel paese si salvano poche strutture tra cui Casa Cerroni e in parte Palazzo Ferrante con la piccola chiesa della Santissima Concezione.

 

 

– La distruzione della chiesa di Santo Stefano

Tra le strutture semidistrutte dal terremoto di Gioia dei Marsi figura anche la chiesa di Santo Stefano. La chiesa risulta crollata e danneggiata in più punti. Il vecchio campanile è completamente crollato, la cupola è collassata all’interno della chiesa e i muri perimetrali della stessa risultano smozzicati, pieni di crepe e abbassati in altezza. Osservandoli si nota con quanta fatica contengano l’enorme mole di macerie presenti nell’interno e derivanti dalla caduta della cupola, del tiburio e del cornicione. In ciò bisogna anche osservare come i vari affreschi della chiesa, attribuiti a Giuseppe Cesari, si siano salvati e in buone condizioni.

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nel 1915-40

Dopo il terremoto arrivano i giorni funesti della prima guerra mondiale, che portano ulteriori lutti nei paesi marsi, con molti ragazzi che muoiono sul fronte austriaco. Molti giovani marsi in età militare  si salvano dal terremoto poichè si trovano in caserma o comunque altrove. Quando scoppia la guerra essi partono per il fronte e molti di loro non tornano.

Anche Civita d’Antino risulta colpita dal dramma con diversi suoi ragazzi morti sul fronte. Negli anni lunghi e difficili della guerra molte delle persone di Civita d’Antino non potendo più stare nel paese distrutto si spostano a valle nella piccola e nuova frazione di Pero dei Santi. Questa frazione nel tempo vedrà aumentare la propria popolazione a spese del comune sovrastante. Lo spostamento verso il basso di molte famiglie di Civita è dovuto al fatto che la piccola frazione di Pero dei Santi si trova ben collegata con le principali arterie di comunicazione, ovvero la statale 82 e la ferrovia.

C’è anche da dire che lo spostamento di parte del paese in zone meglio collegate è comune a molti paesi della Marsica colpite dal sisma. Civita d’Antino  nonostante tutto non è costretta come in altri casi ad uno spostamento forzato e questo la salva dal totale sfacelo.

Le baracche che vengono costruite dopo il sisma sia a Pero dei Santi che a Civita d’Antino diventano per diverso tempo stabili abitazioni. Tornare a vivere come prima a Civita d’Antino è molto complicato a causa dei tempi difficili, quindi una parte del paese rimane a lungo disabitato e in condizioni rovinose. Tuttavia il popolo di Civita attaccato al proprio paese decidono di mantenere qui la sede del comune e questo sarà importante per il futuro del borgo.

In tutto ciò non bisogna dimenticare l’importante contributo della famiglia Ferrante, che tenendo fede alla propria storia pur in un momento così complicato, continua ad aiutare come può il paese a risollevarsi.

Durante il periodo 1915-40 sul piano demografico il paese, seppure con qualche oscillazione, si mantiene stabile. Nel 1921 si contano 1469 unità, nel 1931 si scende a 1381 unità e infine nel 1936 si risale a 1483 unità.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano nel 1915-40

La chiesa di Santo Stefano subito dopo il terremoto appare semidistrutta e ciò che ne rimane è in grave pericolo per la possibilità di ulteriori cadute. Il parroco della chiesa don Fabriani provvede al salvataggio di alcune opere d’arte presenti nella chiesa crollata, per poterle ricollocare nella chiesa più avanti dopo che la struttura religiosa sia stata restaurata. Tra le opere messe in sicurezza vi è anche il dipinto della Madonna della Ritornata che viene ben nascosto dal parroco.

Don Fabriani, salvatosi dal sisma, tiene messa nei due anni successivi fino al 1917 in una baracca adibita a chiesa. Poi grazie all’intervento della famiglia Ferrante, la piccola chiesa di famiglia della Santissima Concezione diventa la nuova sede della chiesa di Civita d’Antino, fino a quando non si fosse provveduto a risistemare la chiesa di Santo Stefano.

Purtroppo per tutti i civitiani il tempo di attesa per vedere restaurata la chiesa madre è molto lungo e si potrae a dopo la seconda guerra mondiale. Per cui per tutto il periodo fascista la popolazione continua ad andare a messa presso la chiesetta della Santissima Concezione.

Da ciò ne segue che nel periodo fascista la chiesa di Santo Stefano non venga restaurata, ma ci si limiti a salvare alcune opere importanti sopravvissute al sisma e tutti gli oggetti di un qualche valore, che riemersi dalle macerie possono in seguito essere riutilizzati dopo il restauro.

Ma il restauro è cosa lunga a causa dei tempi complicati e delle difficoltà logistiche. Per cui il non procedere al giusto recupero della chiesa subito, porta ad ulteriori crolli. Infatti sono numerose le crepe e le brecce, che si aprono e allargano nel manufatto tra il 1915 e il 1950. Vengono a cadere  dorature, stucchi, intonaci, ecc e altri terremoti che vi sono dopo il 1915, seppure meno violenti, condizionano la stabilità dell’edificio, rendendolo infine impraticabile a qualsiasi recupero.

 

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nella seconda guerra mondiale

Nel 1940 l’Italia sotto il comando di Mussolini entra nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania. E’ l’inizio della fine dello Stato italiano come è stato concepito dalla sua unificazione. Seguono anni tristi e cupi, il sogno di grande potenza dell’Italia fascista si scontra con l’inadeguatezza dei mezzi dell’esercito italiano, gravemente deficitari rispetto ad altri eserciti.

L’Italia perde su tutti i fronti, perdendo gran parte delle sue colonie, arrivando persino ad essere invasa nel 1943 dagli USA e le forze alleate. A questo punto arriva il momento peggiore, prima crolla il regime fascista, poi viene meno la monarchia e tutto lo stato maggiore italiano che fuggono in Puglia. Infine la Germania invade l’Italia fino a Frosinone costituendo qui la linea divisoria Gustav che segna il confine fra l’Italia alleata e quella nazista.

La linea Gustav passa per Cassino e quindi a due passi dalla Valle Roveto. A ciò si unisce la presenza del comando generale nazista a Massa d’Albe per il controllo della linea Gustav. Tutto ciò impone dure restrizioni a tutti i marsi a causa del grave regime di polizia dei Tedeschi.

Tra il 1943 e il 1944 i Marsi della Valle Roveto e di tutte le varie zone della Marsica, vengono sottoposti a durissime restrizioni dai Tedeschi, che con il loro stato di polizia impone duri controlli  alle zone. Non dobbiamo dimenticare che la Valle Roveto è la zona della Marsica più esposta alla guerra trovandosi a ridosso di Cassino, che dal gennaio 1944 è uno dei maggiori fronti caldi del conflitto. A ciò si aggiungono i bombardamenti alleati che a partire dal gennaio 1944 colpiscono la Marsica con lo scopo d’indebolire la presenza tedesca.

In questa situazione di grave sofferenza la popolazione si sente in trappola e a volte è presa dal panico, ma nonostante ciò da prova di grande compattezza e umanità, proteggendo tutti i fuggiaschi alleati e antifascisti dai campi di concentramento, nascondendoli sulle montagne in nascondigli impervi o in casolari abbandonati.

Anche Civita d’Antino vive, come tutti i paesi della zona, questo periodo in modo triste e ansioso, soprattutto per i bombardamenti alleati, che non lasciano mai tranquilla la popolazione.

Nel fondovalle lungo la via Nazionale S.S. 82 gli Alleati compiono numerosi bombardamenti, soprattutto nel tratto tra Canistro e Capistrello, per cercare di bloccare le comunicazioni e ritardare i rifornimenti alle truppe tedesche.

In questa situazione la Valle Roveto diventa terra di nessuno e la popolazione inerme si deve arrangiare come può, cercando di salvare se stessa e i prigionieri di guerra, chesta proteggendo mettendo in grave rischio se stessa dai Nazisti.

Infine dopo mesi duri e complicati gli Alleati sfondano la linea Gustav e liberano l’Abruzzo. La Marsica viene liberata tra il 7 e 12 giugno 1944. In questi giorni convulsi i tedeschi sia per rappresaglia contro gli Alleati e gli antifascisti, che per rallentare la loro corsa distruggono tutte le vie di comunicazione a cominciare dalla ferrovia Roccasecca-Avezzano e dalla via Nazionale S.S. 82.

Tutti i ponti stradali e ferroviari vengono distrutti, lo stesso accade per le centrali elettriche, ma alla fine di tanta sofferenza i tedeschi fuggono e vanno via, portandosi dietro il loro il loro carico di odio, con cui hanno avvelenato queste terre.

Terre che a partire dal 12 giugno 1944 sono libere e desiderose di ritirarsi su per scrivere una nuova pagina di storia più serena e bella.

 

 

– la chiesa di Santo Stefano nella seconda guerra mondiale

Durante la seconda guerra mondiale una parte del paese di Civita d’Antino risulta ancora danneggiata dal terremoto, molte macerie sono ancora presenti in alcune parti del paese. Tra le strutture diroccate figura anche la chiesa di Santo Stefano che così rimane per tutto il periodo di guerra.

La popolazione per tutto il periodo di guerra seguita ad andare a messa presso la chiesetta della Santissima Concezione.

 

 

– La ricostruzione della Valle Roveto e di Civita d’Antino nel 1945-55

Sul piano politico la conclusione della guerra porta l’anno successivo nel 1946 alla scomparsa tramite referendum della monarchia e all’avvio della 1 repubblica. Si apre così un periodo nuovo per l’Italia denso di avvenimenti che rappresentano la base della crescita dell’Italia negli anni successivi.

L’Abruzzo invece per le sue particolari condizioni fisiche ed economiche fatica ad uscire dalla crisi sociale nella quale versa. ma la volontà della popolazione è comunque forte e decisa seppure muovendosi con più lentezza ad uscire da questa crisi endemica, specialmente ora che dopo tanti secoli di lotta si avvertono le condizioni di un pieno decollo.

Questa volontà si traduce nella Valle Roveto in una rapida ricostruzione delle principali vie di comunicazione e ciò vale sia per la ferrovia che per le strade. Tra il 1945 e il 1950 la ferroviaria Roccasecca – Avezzano viene ricostruita interamente, allo stesso modo viene riparata la S.S.82, principale arteria stradale della zona. Tutte le centrali elettriche della valle sono ripristinate. A tutto questo  si aggiungono i lavori all’interno dei paesi della Valle Roveto che vengono ricostruiti quasi completamente.

A Civita d’Antino tra il 1945 e il 1950 viene rifatta la strada che conduce al paese dal fondovalle. Allo stesso modo viene ricostruito il ponte fatto saltare in aria dai tedeschi in fuga. All’interno del paese tra il 1945 e il 1955 vengono condotti importanti lavori di ricostruzione e ristrutturazione. Viene rifatta l’intera rete fognaria, viene migliorata la distribuzione idrica tramite la costruzione di due serbatoi di compressione e la sostituzione , su un nuovo percorso, di tutta la tubazione dell’acquedotto di S. Francesco. Viene ricostruito l’intero impianto d’illuminazione in modo più razionale rispetto a prima. Vengono costruite in questo periodo le nuove scuole a Civita d’Antino e presso le frazioni di Pero dei Santi, Vicenne e Case Mattei.

Nel 1954 nasce la Proloco di Civita d’Antino con lo scopo di stimolare il paese verso il settore turistico, giudicato come uno dei motori principali per il futuro del paese. Nel 1955 rinasce la locanda Cerroni , dopo essere stata chiusa per lungo tempo a causa del terremoto del 1915 e delle successive guerre mondiali.

Intorno a Civita d’Antino tra il 1945 e il 1955 vengono condotti importanti lavori di rimboschimento con nuove piante di tigli, noci e castagni.

Purtroppo a questo grande fervore lavorativo fa da contraltare la disastrosa situazione economica generale, che porta ad un nuova emigrazione di una parte importante di popolazione della Valle Roveto. Le principali mete emigratorie questa volta sono i paesi dell’Europa (Francia, Germania Ovest, Belgio e Svizzera) e le principali città del nord Italia come Milano, Torino ecc e la città di Roma in piena ascesa economica e sociale.

A Civita d’Antino questa nuova emigrazione porta ad uno spopolamento del paese. Si passa infatti dalle 1443 unità del 1951 alle 1290 unità del 1961.

 

 

– La ricostruzione della chiesa di Santo Stefano nel 1945-55

Tra le principali opere pubbliche ricostruite a Civita d’Antino vi è anche la chiesa di Santo Stefano.

Nel 1945 la vecchia chiesa di Santo Stefano appare in condizioni fatiscenti, per cui è irrecuperabile. Si decide quindi di abbattere la vecchia chiesa, ricostruendo la nuova nello stesso luogo e con le medesime linee architettoniche. Per ottenere ciò ci si serve della collaborazione della Soprintendenza ai monumenti dell’Aquila che collabora attivamente durante tutta la fase di ricostruzione. Ma il personaggio più importante di tutti è sicuramente l’on Arnaldo Fabriani che fin dal 1945 si attiva per portare avanti il progetto di ricostruzione.

I lavori della nuova chiesa iniziano nel 1945 e si concludono nel 1951 con l’inaugurazione del nuovo luogo di culto.

La nuova chiesa si presenta con le stesse caratteristiche della precedente struttura, apparendo con la stessa forma a croce greca, le stesse dimensioni e gli stessi motivi ornamentali, ma abbellita con opere d’arte moderna e con un arredo nuovissimo.

Tra le nuove opere d’arte spiccano il nuovo fonte battesimale, costituito da una bella e originale pila settecentesca e le nuove formelle della via Crucis, realizzate dal maestro Pio Iorio. Di Pio Iorio è presente nel vano della chiesa una scultura in bronzo.

Riguardo all’arredo della vecchia chiesa, troviamo anzitutto gli antichi candelabri degli altari, risalenti al XVII secolo, che prima di essere reinseriti nella nuova chiesa, sono stati sottoposti ad un importante e paziente lavoro di restauro. Ma più importante abbiamo il quadro della Madonna della Ritornata, che nascosto gelosamente da don Fabriani durante la guerra, è stato poi restaurato e rimesso nel nuovo edificio.

La nuova chiesa di Santo Stefano viene infine inaugurata il 25 agosto 1951 dal Vescovo S.E. Mons. Michele Fontevecchia, delegato dal Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo, S.E. Mons. Biagio Musto. Alla cerimonia sono presenti molte autorità come il Prefetto Stella dell’Aquila, l’On Fabriani, il senatore De Gasperis, il Provveditore alle Opere Pubbliche Santuccione, i componenti del Genio Civile di Avezzano, di molte altre autorità della Provincia, fra l’entusiasmo del parroco don Giovanni Fabriani e di tutta la popolazione di Civita d’Antino.

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nel 1955-80

Civita d’Antino in un immagine del 1957. (Fonte internet)

 

La nuova emigrazione presente nella Valle Roveto e in tutta la Marsica è la caratteristica principale di questa fase storica, che dura più o meno fino al 1980 e segue la fase di ricostruzione dei vari paesi della Marsica avvenuta tra il 1945 e il 1955.

La grave situazione economica presente in questa fase in tutto il sud Italia spinge moltissima gente soprattutto giovani, ad emigrare. Questa volta però l’emigrazione non vede più i paesi americani come meta finale, ma bensì in parte i paesi europei come Francia, Germania Ovest, Belgio e Svizzera e soprattutto dal 1960 le grandi città del nord Italia come Milano e Torino.

 

Civita d’Antino in un immagine del 1964. (Fonte internet)

 

Nella Marsica oltre i paesi europei e le città del nord Italia è Roma la meta preferita, per due ragioni, la prima è la forte ascesa economica che sta vivendo la capitale, e la seconda la vicinanza logistica.

 

La differenza principale fra questa emigrazione e la precedente d’inizio secolo riguarda le famiglie che nel primo caso dopo un certo tempo si perdono di vista, mentre nel secondo nella fase 1955-80 le famiglie pur allontanandosi riescono a mantenere forti legami, data la vicinanza logistica delle città del nord Italia e di Roma che si riempie di abruzzesi emigrati.

Certo nel caso dei paesi europei per le famiglie è più difficile tenere i contatti,  a causa della distanza superiore che porta a periodo di distacco più lunghi e anche per le difficoltà economiche del viaggiare si fanno sentire. Però l’attaccamento dei Marsi alle proprie zone non è mai venuto meno e alla fine anche queste famiglie sono riuscite a trovare un loro equilibrio.

 

Civita d’Antino in un immagine degli anni ’70. (Fonte internet)

 

Nella Valle Roveto sono moltissime le persone che sono emigrate in questo periodo e i paesi si sono praticamente dimezzati come presenze.  Civita d’Antino nel 1961 è già in fase di spopolamento arrivando come popolazione a 1290 unità. Nel decennio successivo l’emigrazione aumenta e Civita d’Antino vede diminuire ulteriormente la propria popolazione arrivando a toccare le 1003 unità.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano nel 1955-80

Chiesa di S, Stefano in un immagine del 1957. (Fonte internet)

 

Dopo la sua rinascita avvenuta nel 1951, la chiesa di Santo Stefano è stata da subito il fulcro di Civita d’Antino, sia sul piano religioso che sociale. Sicuramente per i civitiani l’aver riportato in auge un luogo così importante per il paese è motivo di orgoglio e speranza per il futuro.

Purtroppo quasi da subito il paese si ritrova immerso in una nuova fase emigratoria, che prosegue per molti anni spingendo in posti lontani molte persone del posto.

Ma molti di questi, specie quelli che emigrano verso Roma o verso le città del nord Italia, ogni volta che tornano al paese, ritrovandosi davanti la propria chiesa non possono che dirsi a casa.

Per ogni paese della Marsica la chiesa e il campanile sono sempre stati i riferimenti principe del proprio borgo, e più di ogni altro monumento rappresentano il luogo sociale per eccellenza, perchè contraddistinguono la comunità con la sua storia e la sua identità. Da questo punto di vista la chiesa di Santo Stefano a Civita d’Antino non fa eccezione.

La popolazione, proprio per questo suo senso di attaccamento alla propria chiesa, ha sempre cercato di curarla e migliorarla. In questo senso va inquadrata l’iniziativa della Proloco di Civita nel voler arricchire la chiesa di Santo Stefano con una decorazione pittorica al suo interno.

Il lavoro decorativo viene affidato dalla Proloco al pittore Pasquale di Fabio, che realizza nell’autunno 1959 varie decorazioni pittoriche, tra cui emerge l’imponente decorazione sulla vita di S. Lidano.

Questa decorazione comprende quattro momenti della vita del santo: nella prima scena troviamo S. Lidano, giovane uomo che lascia Civita, il suo paese natale, e la casa paterna per andare al Monastero di Montecassino; nella seconda scena vi è San Lidano, nel pieno della sua giovinezza ma più maturo rispetto a prima, insegnare ai frati il tracciato della bonifica pontina; nella terza scena abbiamo San Lidano, in abiti pontificali e ormai uomo maturo, accogliere e parlare ai contadini che affluiscono alla chiesa di Santa Cecilia, edificata da lui presso Sezze Romano; infine osserviamo la quarta e ultima scena che mostra San Lidano, molto vecchio e prossimo alla fine, che benedice la bonifica e la terra ricca di frutti.

Oltre alle decorazioni del maestro pittore Di Fabio la chiesa arricchisce del ritorno di tre suoi vecchi dipinti, ovvero la lapidazione di Santo Stefano (dipinto del XVIII secolo), la Madonna del Rosario (dipinto del XVIII secolo) e la Maddalena (dipinto dei primi del ‘900).

Sempre nel corso di questi anni la Soprintendenza ai monumenti dell’Aquila concede in deposito alla chiesa alcuni oggetti di pregevole fattura, che vengono ad impreziosire questo luogo sacro. Parliamo di un grande Crocifisso settecentesco, due statuine in legno del ‘700, due cibori, uno dei quali del XVI secolo e due croci d’argento.

 

La chiesa di Santo Stefano negli anni ’70. (Fonte internet)

 

Negli anni 60′ e 70′ mentre il paese si svuota a causa della perdurante crisi economica presente in Abruzzo, la chiesa di Santo Stefano in Civita d’Antino aumenta la sua centralità come punto di riferimento sociale del borgo.

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino nel 1980-2000

Con gli anni ’80 abbiamo la fine di questa fase migratoria e i paesi della Marsica e della Valle Roveto vedono bloccarsi il flusso migratorio, che anzi in alcuni paesi vede un certo rientro di coloro che se ne sono andati.

Negli 1970 contemporaneamente all’emigrazione forzata la Marsica si trova a porre le basi per il proprio successivo sviluppo e benessere a cominciare con la costruzione delle autostrade A24 e A25 che facilitano considerevolmente i contatti con gli altri paesi e città del centro Italia a cominciare da Roma.

Roma soprattutto diventa facilmente raggiungibile e molti paesi della Marsica divengono in qualche modo più dipendenti da Roma che con il resto dell’Abruzzo e questo sia per le persone della Marsica che sono ormai presenti qui, che per gli scambi commerciali che aumentano vertiginosamente.

A ciò bisogna aggiungere che i minori tempi di percorrenza con Roma portano alla formazione di un certo flusso turistico che viene a riguardare diversi paesi della Marsica.

Tutto ciò porta un forte aumento di entrate nella Marsica che consentono a questa di svilupparsi molto nei primi anni ’80 e di raggiungere un pieno boom economico a metà dello stesso decennio.

Il forte miglioramento economico della Marsica porta a un certo fenomeno di ritorno non stabile, ma comunque più forte di prima, ovvero il fenomeno delle seconde case.

Molti giovani partiti negli anni ’60 e ’70, affermatisi nel frattempo nelle proprie professioni, riversano una parte dei propri risparmi nella costruzione di nuove case nei propri paesi di origine che ritrovano così nuova linfa e vigore. Anche una parte delle vecchie casette asismiche vengono completamente ristrutturate e abbellite rendendole pienamente funzionanti e moderne, soprattutto per coloro che sono rimasti nei vecchi borghi.

La Valle Roveto pur in posizione defilata rispetto al grande successo economico della Marsica Fucense, giova in qualche modo del miglioramento generale. Tuttavia a dovere di cronaca bisogna ricordare che la zona è stata soggetta a due nuovi sismi ovvero il sisma dell’Irpinia del 1980 e il sisma di Pescasseroli del 1984.

Nel caso del terremoto dell’Irpinia del 1980 la scossa è stata molto forte seminando morte e distruzione in tutta l’area. Nella Valle Roveto la scossa si è sentita molto bene producendo molto spavento e qualche danno, ma nulla di più.

Lo stesso può dirsi del terremoto di Pescasseroli del 1984, che ha prodotto molti danni negli abitati di Pescasseroli e Opi, ma non ha dato particolari problemi nella Valle Roveto, dove pur manifestandosi con una certa intensità non sembra aver arrecato gravi danni, a parte magari qualche eccezione.

Dopo il boom economico degli anni ’80 la Marsica investe su se stessa per divenire nel tempo una grossa meta turistica e ciò avviene recuperando i propri centri storici che in molti borghi a fine anni ’80 sono ancora preda di macerie. Questo lavoro di rivalutazione dei propri borghi porta a una duplice funzione, la prima è quella accennata per un proprio lancio turistico, ma la seconda è ancora più importante e riguarda la riacquisizione della propria storia recente.

Su questo piano la Marsica inizia un percorso duro e pieno di ostacoli perchè vi è da accettare il lutto del grave terremoto del 1915, non ancora pienamente digerito a causa della gravità dell’episodio.

Negli anni ’90 tuttavia la via è tracciata e tutti borghi chi prima chi dopo iniziano questo lento ma costante cammino di verità storica. Ciò avviene rilanciando vecchie tradizioni o lanciandone di nuove e allo stesso tempo si viene a ristrutturare i propri centri storici con le chiese e i monumenti vari.

In questo senso la Valle Roveto non fa eccezione vedendo migliorare le proprie condizioni economiche, che portano ad una piccola crescita della popolazione e seppure più lentamente di altre zone procede con fermezza anche nel recupero della propria memoria storica e culturale.

In ciò Civita d’Antino segue il percorso degli altri borghi e tra la fine degli anni ’80 e inizio ’90 il borgo inizia a migliorare economicamente e vedere un certo ripopolamento salendo seppure poco nella popolazione residente arrivando a 1065 unità nel 1991. Sono questi poi gli anni in cui in Civita d’Antino inizia un percorso di rinascita culturale, che si completerà negli anni successivi.

 

– La chiesa di Santo Stefano nel 1980-2000

Sul piano religioso non abbiamo notizie particolari sulla chiesa di Santo Stefano, ma è chiaro che la rinascita culturale del paese non può non interessare il suo tempio religioso più importante.

Certamente la chiesa di S. Stefano, grazie anche al fecondo lavoro dei suoi parroci, rimane un punto di riferimento centrale sia al livello religioso che sociale.

 

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XXI secolo

 

– La Valle Roveto negli anni 2000

Nella Valle Roveto nel corso degli anni 2000 prosegue fecondo il lavoro di rilancio urbanistico dei vari paesi della zona. Sul piano economico e sociale la zona rimane un po’ depressa, ma comunque ben viva e  ciò è testimoniato dall’effetto del turismo che inizia a farsi sentire in alcune località, dando così maggiore slancio agli investimenti della ricettività dei luoghi.

Civita d’Antino nei primi anni 2000 al livello turistico si presenta ancora non del tutto espressa, ma la forza di volontà dei suoi abitanti gli consente andare veloce. D’altra parte Civita d’Antino con il suo carico di storia e di bellezze naturali è sicuramente il borgo meglio attrezzato per esplodere al livello turistico e questo i suoi abitanti lo sanno bene e lavorano molto a questo fine.

 

 

 

– La chiesa di Santo Stefano negli anni 2000

 

La chiesa di Santo Stefano nel 2001 a 50 anni dalla sua rinascita, si presenta perfettamente intatta, e da molti è apprezzata per la sua forma particolare a croce greca.

Sicuramente la chiesa di Santo Stefano insieme, ad altri luoghi tipici di Civita d’Antino, si pone negli anni 2000 come riferimento artistico e culturale di notevole pregio.

La felice ricostruzione di questo tempio religioso rispetto a come era prima del terremoto del 1915 non fa trasparire che questo sia stato ricostruito, ma che addirittura sia un tutt’uno con la precedente struttura.

Nel 2009 abbiamo il terremoto dell’Aquila che distrugge il capoluogo abruzzese, ma che non pare abbia avuto effetti su Civita d’Antino e la chiesa di Santo Stefano

 

 

– La Valle Roveto e Civita d’Antino negli anni 2010

Scorcio di Civita d’Antino (2017). (Immagine personale)

 

Nel 2008 avviene la crisi economica mondiale che nel 2009 raggiunge anche l’Italia, facendo sentire i suoi effetti in molte zone della nazione, specialmente nel meridione.

Nella Valle Roveto e nella Marsica la crisi colpisce l’intero tessuto sociale, che viene da una fase di espansione iniziata nel 1985 con il boom economico della Marsica.

La crisi colpisce più o meno tutti i settori, ma nonostante ciò il percorso di rinascita culturale presente nella Marsica dalla metà degli anni ’80 trova piena realizzazione nel 2015 con le celebrazioni del primo centenario dal terremoto del 1915.

Con queste celebrazioni tutti i paesi della Marsica completano il proprio percorso di memoria iniziato anni addietro e recuperano in pieno il proprio senso temporale di terra antica, smarrito un po’ con quel grave sisma.

 

Palazzo Ferrante sullo sfondo nel 2017. (Immagine personale)

 

Grazie a questa rinascita culturale anche il turismo ne beneficia attraverso il lancio di molte importanti iniziative, che portano alla nascita di nuovu turismi come il cammino dei Briganti a Sante Marie. Qui viene allestito un percorso naturalistico teso a ricordare la triste storia dei briganti abruzzesi presenti nella Marsica, ma non solo vengono rilanciate le proprie radici culturali indigene dei popoli preromani che trovano nel primo quindicennio del secolo XXI un autentica rinascita.

Sono tante le iniziative culturali che portano la Marsica ad avere ogni anno un cartellone culturale moto ricco.  Non solo a ciò si aggiunge l’enogastronomia che qui nella Marsica e nello specifico nella Valle Roveto è densamente ricca.

Civita d’Antino nel decennio 2010 compie un’autentico salto, migliorando moltissimo la sua ricettività e accoglienza. Ma soprattutto compie un grande salto culturale con il restauro del proprio borgo ancora in parte in corso con il restauro della Torre Colonna e di Palazzo Ferrante.

Civita in questi anni riesce a rinascere come borgo culturale della Valle Roveto valorizzando moltissimo la propria storia a cominciare da quella romana, con la nascita del nuovo museo di Antinum nel 2015. In questo museo sono riunite tutte le epigrafi e reperti archeologici romani trovati a Civita a partire dal ‘700, ma anche molti reperti trovati nel resto della Valle Roveto.

 

Scorcio di Civita d’Antino (2017). (Immagine personale)

 

In questo senso bisogna ricordare il grande contributo del professor Antonio Bini, che è riuscito a far risorgere la mitica storia della scuola impressionista dei pittori danesi capeggiati da Kristian Zahrtmann a Civita d’Antino tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. L’egregio lavoro del professor Bini ha riportato alla luce un periodo storico fecondo per Civita d’Antino, che all’epoca era un paese molto famoso all’estero, soprattutto nei paesi nordici.

 

 

– La chiesa di Santo Stefano negli anni 2010

La chiesa di Civita d’Antino nel 2017. (Immagine personale)

 

La chiesa di Santo Stefano anche negli anni 2010 si conferma fondamentale punto di riferimento per il paese non più solo sul piano religioso e sociale, ma anche monumentale, vista l’enormità della storia che si porta dietro.

Nel 2016-17 i terremoti di Amatrice si sono sentiti anche nella Valle Roveto, ma per quel che si è inteso non vi sono stati danni alla struttura della chiesa che continua ad essere pienamente funzionante.

 

 


STRUTTURA DELLA CHIESA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE DI CIVITA D’ANTINO

 

Facciata della chiesa di Santo Stefano di Civita d’Antino. (Immagine personale)

 

Presentazione

La chiesa di Santo Stefano Protomartire di Civita d’Antino è stata completamente ricostruita tra il 1945 e il 1951, rispettando completamente lo stile e il disegno della vecchia struttura del 1762. Quindi la nuova chiesa che ci appare oggi è identica al precedente edificio del XVIII secolo, nello stile tardo barocco vigente all’epoca.

 

 

 

– Pianta della chiesa

La chiesa si presenta con una pianta a croce greca

 

 

 

– Facciata

Facciata della chiesa di Santo Stefano. (Immagine personale)

 

La facciata della chiesa è composta da una breve scalinata di tre gradini che incontrano un

 

Portone della chiesa di S. Stefano. (Immagine personale)

 

portone in legno elegantemente rifinito contornato da colonnine bianche sovrastate da una luna di marmo.

 

Lastra posta sul portone della chiesa di Civita d’Antino. (Immagine personale)

 

Tra il portone e la luna sovrastante troviamo una lastra in marmo con una scritta che ricorda il restauro della chiesa della seconda metà degli anni 40′ del XX secolo operata con dedizione dall’impegno del l’on. Fabriani.

Nella facciata a contorno del portone d’ingresso troviamo due pregievoli colonne e nella parte alta è posta una finestra che da luce alla parte interna della chiesa.

Infine nella parte più alta è posto un lunotto che da ulteriore luce all’interno.

 

 

 

– Interno della chiesa

L’interno della chiesa si presenta con un altare maggiore in fondo dove spicca la raffigurazione di Santo Stefano Protomartire. Quindi abbiamo quattro cappelle dedicate a Santa Maria Maddalena, San Barnaba, alla Madonna del Rosario e a San Rocco.

Dei vecchi dipinti recuperati, restaurati e ricollocati nei loro posti originari dopo il terremoto troviamo la lapidazione di Santo Stefano (dipinto secentesco), la Madonna del Rosario (dipinto settecentesco) e Santa Maria Maddalena (dipinto dei primi del ‘900).

A questi vecchie raffigurazioni si aggiungono nel 1959 i nuovi dipinti del pittore Pasquale Di Fabio. Le scene raffigurate rappresentano momenti della vita di S. Lidano e sono posti sui quattro scomparti dell’abside.

Questi sono: 1) San LIDANO in gioventù che lascia Civita e la casa paterna per giungere al monastero di Montecassino; 2) San Lidano nel fulgore della giovinezza, che segna ai frati il tracciato per la bonifica pontina; 3) San Lidano in abiti pontificali, parla ai contadini che arrivano alla chiesa di Santa Cecilia da lui eretta a Sezze Romano; 4) San Lidano morente che benedice la bonifica attuata e alla terra ricca di messi.

Altre raffigurazioni di recente esecuzione sono una Pentecoste, un Battesimo di Cristo nel Fiume Giordano, una Crocifissione, una Natività, quattro raffigurazione sulla presenza di Cristo nel mondo operaio.

A tutto ciò ricordiamo il fonte battesimale composto da una bella e originale pila settecentesca, trasportata qui da lontano.

Quindi abbiamo una scultura in bronzo di Pio Iorio, autore delle formelle della Via Crucis, che decorano le pareti della chiesa.

Successivamente all’avvenuto restauro della chiesa la Soprintendenza dell’Aquila ha donato alla chiesa di Santo Stefano alcuni oggetti sacri di buona fattura che contribuiscono a rendere più ricca la chiesa. Essi sono un grande Crocifisso settecentesco, due statuine in legno pure del ‘700, due cibori, e due belle croci d’argento.

 

 

– Campanile

 

Campanile della chiesa di Santo Stefano. (Immagine personale)

 

Il campanile si presenta come una stretta e alta torre sulla cui cima troviamo due piani occupati dalle campane della chiesa.

 

 

 


BIBLIOGRAFIA

 

1) http://www.civitadantino.terremarsicane.it/

2) https://www.diocesisora.it/pdigitale/civita-dantino-storia-della-chiesa-parrocchiale-santo-stefano/

3) http://www.valleroveto.eu/category/la-valle-roveto-nella-storia/

4) http://civitadantino.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=21

5) http://civitadantino.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=32&phpMyAdmin=253a5892176f40771ad1b46998e39ee1

 


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