CASTELLO DI SAN POTITO

 

 

 


STRUTTURE E MONUMENTI DI OVINDOLI


 

 

POSIZIONE DEL CASTELLO DI SAN POTITO

 

 

 

 

 


STORIA DEL CASTELLO DI SAN POTITO (OVINDOLI

 

 

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X secolo

 

Fondazione del castello di San Potito

Nel X secolo la Marsica si costituisce, sotto la signoria della dinastia Berardi, territorio indipendente dal ducato di Spoleto, al quale era precedentemente soggetto. I Berardi sono una famiglia originaria della stirpe dei Carolingi e insediatasi nel 926 a capo della contea dei Marsi con Berardo I, viene guidata con pugno deciso dai successori di questi.

I Berardi, a cominciare dal mitico fondatore Berardo I, ereggono a difesa del territorio della Marsica un sistema di castelli e torri poste in luoghi incessibili, che fanno buona guardia della contea dei Marsi. I castelli oltre ad essere costruiti in luoghi incessibili sono anche posti a distanza ravvicinata di modo da avere un collegamento visivo in caso di attacco esterno.

Ebbene il castello di San Potito viene con molta probabilità eretto tra fine X e inizio XI secolo, come accade a tutti i principali castelli e torri della zona marsicana. D’altra parte il castello di San Potito fa parte di un complesso sistema di difesa in continuità visiva, che partendo dalla Torre di Santa Jona, prosegue con il castello di San Potito, il castello di Ovindoli, il castello di Rovere e quello di Celano.

Il castello, che viene costruito in questo periodo, è dotato di torre principale e torrette rompitratta, con mura solide di roccia calcarea. Il castello a sua volta comprende anche un piccolo nucleo abitatitvo comprendente un po’ di case e una chiesa costruita  più o meno nell’XI secolo.

Tuttavia osserviamo che il feudo di San Potito, pur appertenendo alla contea dei Marsi, non appartiene direttamente ai Berardi, che comunque ne sono il terminale politico, ma bensì alla famiglia Bonomo.

I Bonomo per quel che emerge dalle fonti sono una famiglia della piccola nobiltà longobarda, che sono feudatari del borgo già da diverso tempo. Quindi riassumendo il castello di San Potito viene costruito all’incirca nel X secolo, dai Bonomo, antichi feudatari di San Potito longobardi, ora sottomessi ai conti Berardi di Albe.

Il borgo di San Potito comprende un castello circondato da un recinto di mura, comprendente torrette rompitratta. All’interno delle mura troviamo il torrione di forma quadrata, che funge contemporaneamente da fortezza e residenza. Oltre a ciò abbiamo una serie di piccole case, che costituiscono il piccolo borgo, insieme alla chiesa di San Nicola posta al centro del paese.

 

 

Castello di San Potito nel X secolo

Al momento non abbiamo informazioni dirette sulla vita del borgo, quindi dobbiamo pensarle in base alla storia locale. Da questa emerge che questa zona vive un periodo di tranquillità sotto i feudatari Bonomi, e più in generale sotto i Berardi.

 

 

 

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XI secolo

 

Dissidi nella famiglia Berardi

Intorno al 1045-1065 nella contea dei Marsi  avvengono importanti dissidi tra i membri della dinastia Berardi, circa la politica dell’attuale conte dei Marsi. Ciò porta ad un tentativo di divisione del territorio marso da parte di alcuni membri della famiglia comitale, esprimendosi con la nascista di una nuova diocesi, con sede a Celle di carsoli. Il tentativo viene sventato dal conte Berardo IV e dai suoi fratelli, qualche tempo dopo.

 

 

Donazioni all’Abbazia di Farfa

1) In base al documento 1041 del “Regestum Farfense” emerge che i Bonomo, feudatari di San Potito e dipendenti dal conte dei Marsi, cedono nel 1072 all’Abbazia di Farfa una loro chiesa, situata presso Piano de Santi, un territorio limitrofo al castello di San Potito e appartenente a quest’ultimo, e la stessa chiesa di San Potito con tutto quanto essa possedeva, compresa la pertinenza di terra sia in montagna che in pianura.

2) Dal documento 1017 del “Regestum Farfense” veniamo a sapere che un membro della famiglia Bonomo, un certo Nerino, cede in perpetuo all’Abbazia di Farfa tutta la sua porzione del castello di San Potito e altre proprietà presenti nell’ambito di una grossa unità fondiaria, comprendente anche parte della catena del Velino-Sirente:

Prima proprietà posta tra il Torrente la Foce, lungo le Gole di Celano e Monte Sirente primo lato ad Est di Rovere

Seconda proprietà posta tra la cima del Monte Magnola e Capo la Maina presso Forme di Massa, secondo lato a Nord

Terza proprietà posta tra Monte Mallevona, ivi compreso il Monte Uomo (posto a nord di Paterno) e il lago Fucino, terzo lato ad Ovest.

Quarta proprietà comprendente una porzione di riva sul lago Fucino, quarto lato sud Secondo quanto riportato nel Chron. Farf,II, 161,10 abbiamo un certo Nerino, figlio di Buonomo, dona nel 1074 all’Abbazia di Farfa la sua sesta parte dei possedimenti presenti presso la chiesa di San Vittorino nel celanese. 

– Se a quanto detto uniamo anche una donazione fatta da un certo Berardo, figlio del conte Berardo IV riguardante una grossa porzione di territorio comprendente la stessa San Potito, ne emerge che l’intero territorio attorno al paese di San Potito, venga ad appartenere all’Abbazia di Farfa. A questo proposito ricordiamo che tutti i territori ceduti dai Berardi, conti dei Marsi, e da altri possidenti locali ai vari monasteri e abbazie, non escono comunque dal controllo della contea stessa, che rimane comunque controllore di questi territori presenti nel suo ambito territoriale.

In altre parole i vari monasteri e abbazie esercitano un controllo diretto sui territori ceduti a loro, ma rimangono soggette all’autorità civile dei conti marsi, che esercitano un controllo indiretto su questi ambiti territoriali.

 

 

Cresce l’influenza normanna sulla Marsica

Alla fine dell’XI secolo i conti Marsi sentono sempre più la pressione dei potenti vicini Normanni che cercano in vari modi di assoggettare la potente contea marsa. Alla fine dell’XI secolo, dal 1090, abbiamo al potere il conte Crescenzio, figlio di Berardo IV, che riesce con sempre maggiore difficoltà a far rispettare la sua autorità centrale nell’ambito della contea. Questo avviene per la crescita di potere locale di altri membri della famiglia Berardi, che vengono creando dei sottofeudi nell’ambito della grande contea dei Marsi, in questa fase molto estesa, comprendente tutta l’attuale Marsica, parte della provincia di Rieti e parte dell’aquilano.

 

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XII secolo

 

Il castello e il paese di San Potito ad inizio XII secolo

Il paese di San Potito si conferma all’inizio del XII secolo un importante punto di controllo dell’area della catena del Velino – Sirente e il castello è ancora parte integrante del sistema difensivo di questa zona, comprendente anche la torre di Santa Jona, il castello di Ovindoli, il castello di Rocca di Mezzo e il castello di Rovere.

 

 

I Berardi si sottomettono ai Normanni

All’inizio del XII secolo la forza normanna è andata aumentando e nonostante la grande tenacia dei conti marsi nel difendere il loro territorio, essi non riescono più a competere con i Normanni. Per cui gli ultimi conti Berardi, Berardo V e Rinaldo II nel 1143 si sottomettono ai Normanni, in cambio di una continuità di potere locale nell’ambito della Marsica. I Normanni accettano l’accordo e accorpano la Marsica nel regno di Sicilia. Ora la Marsica costituisce il confine nord del regno siciliano con i territori del Papa.

 

 

Nascono le contee d’Albe, Celano e Carsoli.

I Normanni dopo la fine della contea dei Marsi, suddividono questa in tre tronconi, affidandone le sorti a membri della vecchia famiglia comitale. San Potito al livello amministrativo ricade nella contea d’Albe con a capo il vecchio conte Berardo V e costituisce uno dei confini con la nuova contea di Celano. 

 

 

Riunificazione delle contee di Albe e Celano sotto i Berardi.

Pietro I conte d’Albe succede al padre nel 1160 circa e circa 30 anni più tardi riesce a succedere al cugino Annibale, conte di Celano, morto senza eredi. In questo modo Pietro riunifica sotto di lui il controllo del cuore della vecchia contea marsa. Da ora egli si muove con grande abilità politica per crescere d’importanza alla corte normanna. La sua grande abilità di politico lo porta a divenire alla fine del XII secolo il più importante feudatario del regno siciliano. Quando poi il regno di Sicilia passa alla dinastia Sveva nel 1194 egli si conferma grande feudatario presso i nuovi
sovrani.

Nel 1198 muoiono nel giro di pochi mesi i sovrani svevi, e rimane come unico erede al trono siciliano il giovanissimo infante Federico di Svevia figlio di Enrico VI e Costanza d’Altavilla. Il bambino è stato affidato da Costanza prima della sua morte al papa Innocenzo III, da poco eletto, affinchè vegli sul bambino.

Dopo la morte di Costanza, Innocenzo III prende il giovanissimo Federico sotto la sua tutela e contemporaneamente egli agisce anche come reggente del regno siciliano. In questo ambito politico troviamo Pietro di Celano, che godendo di grande autorità e prestigio, viene coinvolto dal papa nella gestione diretta del regno di Sicilia in sua vece, probabilmente insieme a qualche altro grande feudatario.

 

 

 

San Potito alla fine del XII secolo

Alla fine del suddetto secolo il feudo di San Potito è ancora soggetto alla gestione dell’Abbazia di Farfa. Ma nonostante ciò il feudo viene a ricadere dal 1143 nell’ambito territoriale di Albe e poi dal 1189 nell’ambito della più vasta contea d’Albe e Celano riunificate da Pietro Berardi. Questo esercita su San Potito un influenza indiretta sul feudo montano. All’interno di questo quadro vediamo che il castello di San Potito, con tanto di prigioni, risulta in questo periodo pienamente funzionante.

 

 

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XIII secolo

 

I Berardi all’inizio del XIII secolo 

All’inizio del XIII secolo i Berardi, dopo un periodo di decadenza, sono tornati una famiglia importante nell’ambito locale, ma soprattutto hanno aumentato il loro potere su scala nazionale nell’ambito del regno di Sicilia, attraverso l’abile politica del conte Pietro Berardi, divenuto un vero dominus politico.

Pietro in questa fase agisce quasi come un primo ministro nell’ambito del regno siciliano e ciò grazie alle condizioni di vuoto politico seguite alla morte dei sovrani, alla minore età dell’erede e alla forte fiducia che Papa Innocenzo III ripone in lui. Tuttavia il vero scopo politico di Pietreo è far tornare la Marsica una contea indipendente, come lo era stata con i suoi avi e per questo la sua politica tenderà a mutare nel proseguo del tempo.

 

 

 

– San Potito all’inizio del XIII secolo.

All’inizio del XIII secolo San Potito resta soggetta all’Abbazia di Farfa, ma dopo il 1212 con l’ascesa del nuovo conte di Albe e Celano, Tommaso Berardi la situazione cambia.

Tommaso Berardi asceso dapprima come conte d’Albe al padre e poi come conte di Celano allo zio, è il più forte feudatario del regno di Sicilia al tempo dell’ascesa del nuovo imperatore e re di Sicilia Federico II. 

Nel 1212 muore il vecchio conte Pietro Berardi che ha portato con se la Marsica al centro del sistema di potere del regno siciliano, ma la sua politica in favore degli Svevi cambia nel corso del tempo in favore dei suoi nemici e ciò per arrivare ad ottenere l’indipendenza del territorio marsicano. Questa politica però fallisce a causa di una serie di circostanze prima fra tutti la morte del conte Pietro.

Tommaso suo successore, divenuto nel frattempo anche conte del Molise, capisce l’inutilità della via diplomatica e decide di muovere guerra al potere centrale, rappresentato da Federico II. Tommaso tenta di concretizzare il progetto d’indipendenza del territorio marso del padre Pietro, facendo sviluppare molto l’agricoltura nel territorio paludoso fucense, e quando Federico II parte per la Germania, ne approfitta per rivendicare i titoli concessi al padre, scacciando inoltre le truppe sveve dalla contea.

Siamo quindi al 1221 allorquando Federico II, ormai pienamente regnante, avendo saputo delle azioni di Tommaso e non potendo permettersi di perdere i territori abruzzesi muove guerra al conte di Celano. La guerra fra Tommaso e Federico II inizia nel 1221 e si conclude nel 1223, per poi riprendere nel 1229-30.

Nel biennio 1221-23 tutta la Marsica con parte dell’aquilano e del rietino, sono coinvolti nella guerra fra i due, specialmente i paesi che sono presenti nella catena del Velino Sirente, e tra questi vi è anche San Potito. San Potito rimane con il suo castello uno dei punti di difesa e controllo più importanti presenti nel territorio della catena del Velino-Sirente, che circondano Celano, capitale dello stato dei Berardi.

La guerra iniziata in una zona diversa da Celano, ha qui poi il suo epicentro. La guerra termina nel 1223 con l’assedio e la successiva espugnazione della città di Celano, capitale dello stato marso. Il conte Tommaso scappa allora a Roccamandolfi in Molise, seguendo il tratturo Macerone. Successivamente si rimette in viaggio e passando per Pescasseroli,  tenta un contraccolpo tornando ad Ovindoli.

Tuttavia deve nuovamente fuggire, a Roma, mentre gli abitanti di Celano si disperdono nelle campagne, e la città viene bruciata. Dalla distruzione della città rimane indenne la sola chiesa di San Giovanni Battista. Il gesto di Federico II serve a far capire ai Berardi chi comanda ora nel regno siciliano.

I Berardi che governano questi luoghi ormai da molto tempo rappresentano per Federico II un duro antagonista rappresentato proprio da Tommaso, per cui la sua sconfitta è fondamentale per lui. Il progetto a cui lavora Federico è quello di avere un’amministrazione centrale che governa l’Italia meridionale con sede amministrativa in Sicilia. In questo modo le varie baronie e contee che esistono nel regno verrebbero fortemente ridotte

Tommaso cerca comunque di resistere, ma alla fine nel 1223 è costretto ad arrendersi accettando  un duro trattato di pace imposto da Federico II. La clausola finale del documento prevede che, a garanzia del patto, il conte di Celano e del Molise consegni in ostaggio il figlio, il piccolo Ruggero, nelle mani del Maestro dei Cavalieri Teutonici.

In seguito Federico concede al conte dei Marsi il giustizierato del comitato, ma gli toglie quei poteri, che in virtù delle vecchie leggi franco-longobarde gli ha consentito lo strapotere della provincia Marsicana. Ora invece in base al nuovo trattato Tommaso dichiarando fedele obbedienza all’imperatore, accetta che qualsiasi avvenimento politico o che avrebbe avuto a che fare con procedimenti giudiziari avrebbe dovuto essere compilato e mandato all’imperatore, che ne avrebbe deciso il verdetto della sentenza.

Federico a questo punto dopo la resa di Tommaso e la distruzione di Celano e qualche altra località decide di punire anche i celanesi mandandoli in esilio in Sicilia, Calabria e Malta. Con la sconfitta di Tommaso, Federico II unifica tutti i possedimenti normanni dal Sangro all’Aprutium teramano, dalla fortezza di Pescara a Popoli, da Penne a Sulmona, da Lanciano a Vasto.  Nel 1233 verrà poi formalizzata la costituzione del Giustizierato d’Abruzzo con città capitale Sulmona.

Anni dopo, nel 1227, i cittadini di Celano vengono fatti rientrare grazie all’intercessione papale e viene permesso loro di ricostruire un nuovo borgo, con la precisa regola di erigerlo non nello stesso luogo del precedente e soprattutto che il nome non sia uguale.

Il nuovo borgo di Celano nasce nel corso del periodo successivo in un luogo vicino al precedente e per i primi tempi viene ridefinito con il nome di Cesarea. Tuttavia in poco tempo i rapporti fra il Papa e Federico II si vengono raffreddando fino a sfociare in lotta aperta.

Il papa gravemente offeso dal comportamento di Federico II, si vuole vendicare di lui e organizza un esercito per avere la meglio sull’imperatore. In questa circostanza il papa pone a capo dell’esercito Tommaso Berardi, che riesce in questo modo ad avere una nuova occasione di lottare contro l’imperatore. Egli dapprima torna nella Marsica riprendendosi i feudi di Albe e Celano e poi muove guerra gli imperiali.

Federico per nulla intomorito, gli lancia addosso il suo esercito e nell’arco dei mesi fra il 1229-30 sconfigge nuovamente Tommaso, che a questo punto si ritira a vita privata in modo definitivo. 

Anche in questo caso sono diversi i feudi danneggiati nei combattimenti fra imperiali  ed esercito papale, di cui diversi sono proprio nella Marsica. Potrebbe essere che fra questi possa esserci anche San Potito, quest’ultima affermazione è una congettura puramente personale che si basa sull’assunto che i paesi coinvolti riguardano un ‘area piuttosto vasta.

Fatto è comunque che molti dei suddetti paesi colpiti dalle violenze della guerra vengono nel giro di poco riparati per ordine di Federico II (1232).

 

 

San Potito e Il ritorno dei Berardi a Celano

Negli anni successivi sembrerebbe, ma la notizia va ulteriormente indagata, che Tommaso si rappacifichi con Federico e che questo riprometta al conte la restituzione di Celano, rinunciando però ai castelli di Ovindoli, San Potito e al controllo diretto del castello di Celano, e alle torri di Serra e Santa Iona. 

Celano nel frattempo continua a subire l’onta di chiamarsi “Cesarea” e non Celano, e ciò dura fino  al 1250, anno della morte di Federico. Nel 1247 il papa aveva accordato al conte Ruggero Berardi, figlio di Tommaso, il suo assenso al ritorno al potere in Albe e Celano, ma questo si contretizza solo con la morte di Federico e del suo successore Corrado IV.

Infatti Manfredi, figlio di Federico II e reggente del nipote, riconsegna ufficialmente le due contee a Ruggero, in cambio però della sua obbedienza alla casa Sveva. Manfredi per consolidare il suo trono scende a patti con le più importanti famiglie del regno siciliano, compresi i Berardi, che in cambio della loro fedeltà a lui, vengono reintegrati delle contee di Albe e Celano.

Nel 1254 Ruggero I conte d’Albe e Celano ritorna finalmente negli antichi territori familiari e riprende da qui la sua politica, questa volta filosveva. In tutto ciò abbiamo che San Potito, continuando ad essere gestita dall’Abbazia di Farfa, ritrova nel nuovo contesto politico una maggiore serenità.

 

 

Il castello di San Potito durante il declino degli Svevi e l’ascesa di Carlo I

Nel 1266 Carlo d’Angiò su invito del papa scende in Italia per contendere il trono a Manfredi di Svevia attuale sovrano del regno siciliano dal 1258. Lo scontro tra i due avviene a Benevento, dove Manfredi viene sconfitto morendo in battaglia. Carlo a questo punto diventa nuovo re di Sicilia. Nei successivi due anni Carlo alza le tasse nei confronti della piccola e grande nobiltà, che a malavoglia lo ha accettato come re. 

Ruggero conte di Celano e Albe ha un grosso debito di 3000 once d’oro con Carlo I d’Angiò. Ruggero per riuscire a onorare il suo debito e avere tempo di estinguerlo è costretto a dare in pegno al sovrano ben sei castelli appartenenti a lui. Tra i feudi ceduti temporaneamente a Carlo vi sono anche Ovindoli e San Potito. La consegna dei castelli a Carlo I d’Angiò avviene tramite il templare Goffredo “Provisor castrum” e Guglielmo Figerio “Capitaneus militum in Aprucio”. 

Nel 1268 una parte della grande e piccola nobiltà a causa anche della pressione fiscale messa in piedi dal nuovo sovrano, decide di rivoltarsi contro di lui sostenendo le pretese al trono di Corradino di Svevia che in quanto figlio di Corrado IV è il legittimo erede di Sicilia.

In questo contesto troviamo Ruggero Berardi conte di Celano e Albe, schierato con Corradino di Svevia e con lui molti altri nobili importanti. Ruggero insieme ad altri nobili, ma anche a gente comune sostiene il piccolo re e crea per lui un esercito.

In poco tempo Corradino decide di accettare l’invito della nobiltà del regno di Sicilia a riprendersi il trono. Quindi scende in Italia accolto in grande stile in diverse città italiane. Alla fine di un lungo viaggio arriva in Abruzzo, dove è ospite di diversi nobili tra cui i Berardi grandi feudatari della zona.

Carlo saputo della discesa di Corradino muove il suo esercito per affrontare il giovane svevo in battaglia. Carlo giunto nella Marsica si accampa con il suo esercito sull’Altopiano di Ovindoli.

 

 

La battaglia dei Piani Palentini e le conseguenze per la Marsica 

Lo scontro fra Corradino e Carlo avviene nell’agosto del 1268 presso i Piani Palentini. I due eserciti si affrontano in un battaglia campale che dura diverso tempo. Alla fine della tremenda battaglia che lascia molti morti sul campo troviamo Carlo vittorioso e Corradino sconfitto.

Corradino tenta allora la fuga verso Roma, ma riconosciuto poco dopo viene catturato e consegnato al re Carlo. Questi lo conduce a Napoli dove lo fa decapitare nella Piazza del Mercato. Ha fine per sempre la dinastia di Svevia. Carlo I rimane unico padrone del regno siciliano. Carlo I a questo punto inizia una dura vendetta contro i nobili che hanno sostenuto Corradino. In cima alla lista ci sono i Berardi.

Carlo confisca la proprietà delle contee di Albe e Celano a Ruggero I Berardi, quindi inizia a prendersela con il territorio marsicano che ha sostenuto Corradino. Carlo infatti rade al suolo Alba fucens, all’epoca capitale dello stato marsicano retto da Ruggero I, provocando tra l’altro la dispersione della popolazione. Poco dopo Carlo distrugge anche Pietraquaria che in questa fase è un grosso centro di controllo della Marsica e probabilmente è il centro civico di controllo dell’area dove è avvenuta la battaglia dei Piani Palentini.

 

 

Il ritorno dei Berardi

Ruggero Berardi non accetta la perdita dei suoi territori e si mostra deciso a riaverli. Quindi tramite una forte somma di denaro ripaga il sovrano angioino del vecchio debito contratto con lui anni prima, riottenendo la riconsegna dei sei castelli ceduti in pegno e allo stesso tempo riottiene la contea di Celano.   Ruggero Berardi, dietro una forte somma di denaro data a Carlo I, rientra in possesso della contea di Celano, ottenendo fra l’altro il possesso del feudo di Rocca di Mezzo. Purtroppo però non riesce a riavere le contee di Albe e Molise.

Carlo I infarti pur restituendo a Ruggero la contea di Celano, si rifiuta di cedergli anche Albe e il Molise per non riavere un domani una nuovo problema con la sempre fiera casa dei Berardi. In questo quadro inoltre osserviamo come la contea di Albe venga girata alla figlia di Ruggero, Filippa Berardi.  

La consegna di Albe a Filippa ha lo scopo di trasmettere per via matrimoniale l’importante contea albense a uno dei suoi uomini di fiducia. Infatti Filippa ottiene la contea di Albe da Carlo come dote matrimoniale da trasmettere al marito, un amico fedelo di Carlo una volta sposatisi.

La storia tuttavia prede una piega diversa. Filippa sposa si l’amico nobile di Carlo, ma rimane presto vedova di questi. Successivamente Filippa, grazie al suo carattere carattere fiero e battagliero, domina da sola la contea albense per i successivi quarant’anni, mantenendo forti legami con la contea di Celano e divenendo nel tempo un grosso problema per la famiglia reale. 

La contessa d’Albe porta avanti una sua politica di autonomia della contea albense in parte svincolato dalle direttive reali. Infatti Filippa agisce in aperta concorrenza con i monaci della  nuova Abbazia di Santa Maria della Vittoria di Scurcola nel controllo del Lago Fucino. Ciò spesso si traduce in aperte ostilità fra la contessa e i monaci. Questi ultimi sono presenti a Scurcola nella nuova Abbazia di Santa Maria della Vittoria dal 1268 e qui sono a capo del nuovo feudo monacale di Scurcola Marsicana creato e protetto da Carlo I in persona e dalla sua famiglia.

Tornando alla contea celanese assistiamo al ritorno di Ruggero Berardi a Celano nel 1272. Ruggero però pur diminuito di potere a causa della perdita del feudo di Albe, è riuscito a farsi assegnare da Carlo oltre alla contea di Celano, reintegrata con tutti i vecchi feudi di pertinenza, anche il feudo di Rocca di Mezzo. L’assegnazione di questo feudo per Ruggero significa la possibilità di creare una transumanza verticale per le pecore, che partendo dalle rive del lago Fucino si spostano d’estate  presso l’Altopiano delle Rocche e così in senso inverso durante l’inverno.

Ciò significa per la contea celanese sviluppare una fiorente produzione di lana pregiata, all’epoca molto remunerativa e quindi possedere una grossa e sicura entrata economica.

 

 

San Potito e Ovindoli nella contea celanese alla fine del XIII secolo

Come detto sopra l’assegnazione di Rocca di Mezzo ai Berardi, permette a questi di sviluppare una grossa industria manufatturiera come la produzione della lana. Allo stesso tempo i Berardi con Rocca di Mezzo arrivano a controllare la gran parte dell’Altopiano delle Rocche e ciò grazie sopratutto al ritorno di Ovindoli e San Potito alla contea celanese.

In questo quadro il feudo di San Potito, che veniamo a sapere completamente reintegrato alle dipendenze del conte di Celano, torna a svolgere una funzione di controllo e cerniera fra l’Altopiano delle Rocche e il resto della contea celanese. Oltre a ciò osserviamo che il feudo di San Potito non è  più alle dipendenze di Albe, come sembra fosse all’inizio dellacreazione delle conte di Celano e Albe. Tuttavia come avvenuto in prcedenza, è di nuovo uno dei confini fra la contea celanese e la contea albense. In tutto ciò veniamo anche a sapere, seppure indirettamente, della piena funzionalità del castello di San Potito in questa fase.

 

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XIV secolo

 

I Feudi San Potito e Ovidoli all’inizio del XIV secolo

La contea di Celano con vista sui feudi di Ovindoli e San Potito posti sulla sinistra in alto. (Estratto dalla Stampa Vaticana)

 

Ovindoli e San Potito in evidenza.  (Estratto dalla Stampa Vaticana)

 

All’inizio del XIV secolo i feudi di San Potito e Ovindoli con i rispettivi castelli continuano a essere pienamente attivi. Il castello di San Potito, insieme alla vicina torre di Santa Jona, continua a controllare il confine tra la contea di Celano e quella di Albe.

 

 

– I Berardi ancora al comando della contea di Celano

La prolifica famiglia dei Berardi continua a mantenere il controllo della contea celanese dopo quasi quattrocento anni di ininterrotto dominio.

 

 

Terremoto del 1349

Un forte terremoto presente nel centro Italia colpisce in modo duro la Marsica e quindi la contea di Celano. Al momento non abbiamo dati importanti circa gli effetti del sisma sui borghi della contea celanese. Ciò che sappiamo che il sisma in questa zona si è sentito in modo forte e intenso, quindi è molto probabile che Celano e tutti i borghi della zona abbiano riportato danni importanti dal sisma.

In questo quadro è molto probabile che San Potito e Ovindoli abbiano riportato dei danni importanti. Tuttavia dalle fonti storiche sappiamo che i suddetti borghi vengono riparati negli anni successivi grazie all’opera del conte Ruggero II.

 

 

– Restauro dei danni del terremoto e rafforzamento delle difese dei borghi della contea celanese

Dalle fonti abbiamo notizia di importanti lavori di rifacimento nel 1360-80 delle difese esterne ed interne dei borghi della catena del Velino-Sirente appartenenti alla contea di Celano.

Sembra infatti che Ruggero II Berardi, attuale conte di Celano, procede al restauro e rafforzamento delle mura, torrette e porte dei borghi di Aielli, Santa Jona, Ovindoli, San Potito e Collarmele, oltre al rafforzamento e abbellimento di Celano, capitale dello stato.

Da ciò si evince che intorno al 1380 i borghi di San Potito e Ovindoli hanno pienamente recuperato nel loro stato edilizio dopo i danni assai probabili del sisma del 1349.

 

 

Il castello di San Potito a fine XIV secolo

Basandoci  sulle informazioni trovate sappiamo che il castello di San Potito alla fine del XIV secolo è pienamente funzionante e viene usato anche come carcere per delinquenti o gente benestante.

 

La vicenda di Antonio Berardi

Antonio Berardi è uno dei figli del conte di Celano Ruggero II ed è per volere paterno barone di Carapelle. Antonio nella sua funzione di barone di Carapelle apporta delle modifiche fiscali, che vanno a colpire sia la gente comune che la piccola nobiltà locale.  A ciò si aggiungono alcuni comportamenti irruenti dell’uomo nei confronti dei suoi sottoposti o di nobili locali.

Ciò crea scontento e disaffezione tra la popolazione e queste situazioni giungono alle orecchie di Ruggero II che ormai anziano, cerca di gestire i suoi ultimi anni in pace e tranquillità. Le notizie che gli giungono sulla condotta del figlio spingono il vecchio conte ad intervenire e ciò porta a gravi litigi fra padre e figlio.

Antonio, fortemente ostinato si ribella al genitore chiedendo lui dei terreni di confine fra la contea e Carapelle appartenenti a Celano. Con il tempo i dissidi tra padre e figlio vengono aumentando e sembra da quanto scritto da Antonio di Buccio nel suo “poema delle cose dell’Aquila” ,  che verso il 1375-78 i dissidi tra Ruggero, conte di Celano, e il figlio Antonio  siano stati tanto gravi, da spingere Antonio a far incarcerare il padre, per convincerlo a cedergli dei possedimenti appartenenti alla contea, da usare per i suoi affari.

La regina Giovanna I, sapute delle gravi azioni di Antonio Berardi a Carapelle, gli revoca la baronia di Carapelle e la restituisce al padre Ruggero, che viene poco dopo liberato. Invece Antonio viene arrestato su ordine dello stesso genitore e condotto nel castello di San Potito. Qui nel carcere del castello di San Potito, Antonio sconta la sua prigionia, che si conclude con la sua morte avvenuta nel 1380.

 

 

Il dolore di Ruggero II

Ruggero II gravemente colpito dal lutto del figlio e dalla sua condotta si sente sempre più debole. Nonostante ciò si ritrova costretto a riparare ai torti fatti dal figlio a Carapelle. Qui egli ratifica una serie di capitolazioni correttive presentategli dai Sindaci delle terre di Carapelle. Amereggiato e distrutto dal dolore Ruggero II abdica in favore dell’altro figlio Pietro III, ritirandosi poi in convento dove muore nel 1382.

 

 

L’allargamento della contea di Celano

Pietro III riesca ad annettere alla contea celanese la proprietà del feudo di Carrito e Ortona dei Marsi, del feudo di Ortucchio e del feudo di Paterno. Quest’ultimo consente a Pietro III di far partecipare Celano all’attività pescatoria nel Lago Fucino.

 

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XV secolo

 

San Potito e Ovindoli all’inizio del XV secolo

All’inizio del XV secolo San Potito e Ovindoli rimangono parte integrante della contea di Celano ancora retta dai Berardi con Nicola I. In ciò si osserva ancora la piena efficienza dei castelli di Ovindoli e San Potito.

 

 

La contessa di Celano 1418-1436

Nel 1418 muore il vecchio conte Nicola I e pochi anni dopo muore anche l’unico figlio maschio Pietro IV. Con la morte di Pietro IV si estingue nella linea maschile la grande famiglia Berardi.

A questo punto la contea viene ereditata per volere di Pietro IV dalla giovane sorella Jacovella. Jacovella al momento della successione al fratello è poco più di una bambina e viene subito adocchiata dal Papa Martino V, che vede nella ragazzina la possibilità di mettere le mani sulla ricca contea celanese.

Per cui il papa porta Jacovella a Roma e organizza il matrimonio di lei con il nipote Edoardo, prefigurandosi con ciò l’accorpamento della contea celanese al patrimonio familiare dei Colonna. 

Ma il papa non ha fatto i conti con il carattere fiero e determinato di Jacovella, che come la sua antenata Filippa, contessa d’Albe, è determinata imporsi nel gioco degli eventi poltici. La giovanissima Jacovella poco tempo dopo il matrimonio con Edoardo inizia a dare segnali di fastidio verso il consorte giudicato da lei un inetto, e rifiuta con ogni mezzo di avere rapporti con il marito, adducendo molte false scuse.

Il matrimonio forzato tra Jacovella ed Edoardo Colonna dura fino alla morte del papa. Poi ella fugge  da Palazzo Colonna a Roma con una rocambolesca fuga, raggiungendo dopo diversi giorni Celano, da dove inizia a governare la sua contea. Poco tempo dopo essere ritornata a Celano, Jacovella capisce bene che nessuno permetterà lei di governare da sola la sua contea in quanto nata donna.

Per cui comprende che ha bisogno di un compagno che l’assicuri da altri matrimoni d’affari a vantaggio di altre casate nobili specie quelle romane. Jacovella si offre a al capitano di ventura Jacopo Caldora, in quel momento il più importante generale del meridione italiano.

Jacopo è una persona avanti con gli anni e comprende i motivi dell’offerta di Jacovella e capendo quale forza deriverebbe da questo matrimonio accetta. Sapendo bene che egli nell’ultimo periodo è divenuto conte di Tagliacozzo e Albe, che sono gli altri due feudi della Marsica strappati alle famiglie romane degli Orsini e dei Colonna.

Nel 1436 Jacopo Caldora e Jacovella Berardi si sposano. Jacovella diventa oltre che moglie di Caldora, anche contessa d’Albe e Tagliacozzo, titoli del marito, mentre Jacopo si viene a fregiare di conte di Celano. Per qualche tempo le contee di Albe, Celano e Tagliacozzo sono riunite con Celano capitale.

 

 

I feudi di San Potito e Ovindoli durante la discesa di Braccio da Montone

Nel 1423 mentre Jacovella inizia il suo rapporto matrimoniale con Edoardo Colonna, si ha l’invasione dell’Abruzzo da parte dell’esercito di Giovanna II regina di Napoli, comandato da Braccio da Montone. L’Aquila è una città che possiede privilegi fin dalla sua nascita avvenuta due secoli prima nel 1254 per merito dei 99 castelli con relativi signorotti che la governano.

Ora rischia di perdere i suoi privilegi, per cui si ribella a Giovanna II. Gli aquilani chiedono aiuto  a Renato d’Angiò diretto concorrente di Giovanna II. Egli manda Jacopo Caldora a sostegno degli aquilani e dei castelli da essa dipendenti.

Nel frattempo Braccio da Montone irrompe in Abruzzo invadendo e distruggendo tutti i castelli che circondano l’Aquila e contemporaneamente ponendo in assedio la città.

Tra i castelli che vengono coinvolti da questa invasione vi sono anche Ovindoli e Rocca di Mezzo che vengono invase e in parte danneggiate da Braccio da Montone. A questo proposito non sappiamo se egli si sia spinto fino a San Potito, nessuna fonte consultata dice nulla al riguardo, però non è escluso visto la vicinanza del borgo fortificato rispetto alle rocche attaccate. Poco tempo dopo l’invasione di Braccio da Montone, giunge in Abruzzo Jacopo Caldora, potente capitano di ventura e in questo momento comandante di un esercito che corre in aiuto dell’Aquila.

Jacopo libera i borghi occupati da Braccio da Montone e poi irrompe verso l’Aquila liberandola dall’assedio dopo un lungo scontro con le truppe di Braccio da Montone, che viene ferito mortalmente in battaglia.

 

 

La contessa di Celano 1436-56

Jacovella Berardi una volta sposatasi con Jacopo Caldora si sente sicura di riuscire a mantenere il possesso di Celano a cui a era profondamente legata. Tre anni dopo nel 1439 Jacopo muore e Jacovella si riprende la totale autorità su Celano. Invece le contee di Albe e Tagliacozzo vengono ereditate da Antonio, figlio di Jacopo Caldora. Antonio morirà nel 1441 e le contee saranno date agli Orsini, che sostengono gli Spagnoli di Alfonso d’Aragona, nuovo re di Napoli.

Jacovella nel frattempo ritrovandosi di nuovo sola, ma innamorata di un nipote di Caldora, Leonello Acclozamora, decide di sposarlo, inaugurando così un lungo periodo di pace per se stessa e il suo contado.

Tra il 1442 circa e il 1458 anno della morte di Leonello Acclozamora il contado di Celano torna a fiorire nonostante il terremoto del 1456. In questa fase abbiamo una notevole ripresa dell’attività edilizia consenguente di una certa ripresa economica. 

San Potito è in questa fase ancora un borgo fortificato, con un castello ancora ben funzionante, che continua a sorvegliare la zona ovest della contea celanese. In questa fase abbiamo che i conti di Celano vengono a riparare i borghi danneggiati nella passata guerra con Braccio da Montone.

 

 

Terremoto del 1456

Un grave terremoto avvenuto in Irpinia fa sentire i suoi effetti anche nel centro Italia con parziale o totale distruzione di diversi borghi tra cui ve ne sono diversi anche nella Marsica. Sappiamo infatti che i borghi della Piana del Cavaliere vengono distrutti dal sisma, mentre altri della Marsica più interna sono danneggiati.

A livello locale San Potito e Ovindoli risentono del forte sisma, ma nulla di più sappiamo su eventuali danni. Tuttavia sapendo di grossi danni subiti da Celano è molto probabile che anche Ovindoli e San Potito abbiano avuto danni.

 

 

– La contessa di Celano 1456-62

In seguito al forte sisma Leonello e Jacovella conti di Celano procedono a riparare i danni a Celano e negli altri borghi danneggiati. In questa fase abbiamo una forte attività edilizia avviatasi già negli anni 1448-51 che prosegue decisa anche dopo il sisma del 1456, in cui si vengono riparando i danni del sisma stesso, ma anche con l’obbiettivo di migliorare le difese esistenti dei borghi celanesi. In questa fase è probabile che San Potito e Ovindoli abbiano anch’essi riparazioni e miglioramenti difensivi. 

Negli anni successivi assistiamo all’ultima triste fase di decadenza della famiglia Berardi. Nel 1458 muore il conte Leonello e Jacovella rimane di nuovo sola a dirigere la contea. Le cose vanno tranquille fino al 1460, allorquando Ruggero, giovanissimo figlio di Jacovella e Leonello, geloso del potere della madre, vuole succederle subito alla guida della contea. La madre e il figlio sono per un lungo periodo in grave conflitto. La madre non riesce a far ragionare il giovane e si vede in crisi rispetto al suo potere, molto più dei tanti conflitti e sfide che ha dovuto gestire per mantenere in famiglia la contea di Celano.

Ruggero si allea con il giovane e spregiudicato capitano di ventura Piccinino, che capendo la grande ricchezza della contessa, circuisce Ruggero e lo spinge a scontrarsi con la madre. Jacovella è disperata perchè capisce che il figlio si è inguagliato venendo confuso dal Piccinino e cerca in ogni modo di far intendere ciò a Ruggero, ma senza speranza. Ruggero e Piccinino arrivano a porre in assedio Jacovella, che alla fine deve cedere. E’ la fine dei Berardi.

Jacovella viene imprigionata a Ortucchio, mentre Piccinino fatto diventare conte Ruggero, depreda il patrimonio della contessa e della contea. Piccinino paga rivendendo gli averi della contessa tutti i suoi debiti e paga i suoi uomini. Ruggero capito il grave errore vorrebbe rimediare, ma è tardi. Il papa saputo del dramma della contessa procede a liberarla da Ortucchio, ma non le restituisce la contea che viene ceduta al di lui nipote Antonio Piccolomini.

Antonio Piccolomini diventa nuovo conte di Celano, Jacovella si rifugia a Venafro dove ne ottiene il contado dal papa come contropartita per Celano. Ruggero invece occupa Balsorano e da li prova senza successo a riprendersi Celano, ormai perduta per sempre.

 

 

Il feudo di San Potito a fine XV secolo

La fine del XV secolo nella Marsica significa grandi battaglie e cospirazioni tra le famiglie Colonna e Orsini per il controllo delle contee di Tagliacozzo e Albe. Alla fine di questa competizione i Colonna risultano vincenti e inaugurano un lungo dominio di questa parte d’Abruzzo.

L’altro grande feudo della Marsica, la contea di Celano è ormai saldamente in mano ad Antonio Piccolomini, che porta nel suo contado molta ricchezza e pace. In questo contesto a Celano e nei borghi sotto di esso, tra cui Ovindoli, si ha una forte ripresa dell’attività edilizia che viene a completare l’aggiornamento urbanistico di questi borghi, avviato decenni prima da Jacovella e Leonello.

 

 

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XVI – XVIII Secolo

 

Ovindoli e San Potito a inizio XVI secolo 

La rocca di Ovindoli così come quella di San Potito vengono perdendo importanza a causa delle mutate condizioni politiche, che vedono il meridione divenuto colonia spagnola e nella Marsica una grande stabilizzazione politica con l’ascesa dei Colonna a Tagliacozzo e i Piccolomini a Celano.

 

 

La contea di Celano nel XVI secolo

I Piccolomini fra alti e bassi continuano a governare la contea celanese in modo giusto e dignitoso fino alla fine del secolo. In questo arco di tempo questi riescono a migliorare le vie della transumanza assicurando buoni pascoli per le pecore e per la loro lana pregiata, che assicura un forte introito economico alla contea.

Poi verso la fine del secolo un forte indebitamento famigliare spinge l’ultima esponente dei Piccolomini, la contessa Costanza a vendere il proprio patrimonio, compresa la contea di Celano ai Peretti nel 1591, nella persona di Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V.

 

 

Il castello di San Potito a inizio XVII secolo

Il castello di San Potito visto dall’alto. (Fotogramma da video Youtube “DJI MAVIC AIR tra le rocche Abruzzese (San Potito, Ovindoli, AQ)”)

 

All’inizio del secolo XVII il castello di San Potito è ormai privo d’importanza e inizia a diventare un rudere. La struttura tuttavia pur abbandonata è ancora ben strutturata.

 

 

 

La contea di Celano all’inizio del XVII secolo

Il governo spagnolo tratta come colonia il meridione italiano, controllandolo con una grossa forza militare e spremendolo con una forte tassazione.

Risultato di questa politica è una grave crisi economica che colpisce non solo il meridione, ma tutta l’Italia, vista l’influenza che la Spagna ha sull’Italia tutta in questo periodo.

La Marsica in questa situazione si trova a soffrire una grossa crisi economica che spinge alla povertà assoluta buona parte della popolazione civile. In questo contesto abbiamo il governo dei Peretti che non si rivela efficace e non contribuisce in alcun modo al miglioramento delle condizioni locali.

 

 

I feudi di Ovindoli e San Potito nella rivolta sociale del 1647-48

Nel 1647 la grave crisi economica in atto nel sud Italia spinge la popolazione a ribellarsi ovunque contro il malgoverno degli Asburgo.

Nella Marsica dove il malcontento serpeggia in modo uniforme, esplode viva la protesta contro gli Spagnoli. La rivolta è presente in tutti i centri della Marsica e si rivolge contro il governatore spagnolo Pignatelli che governa anche la Marsica per conto del governo spagnolo.

Nella Marsica abbiamo rivolte ovunque e ciò prosegue con sempre maggiore forza fino ad arrivare all’occupazione del castello di Celano, da parte del barone Quinzi dell’Aquila. Subito Celano anche il castello di Ovindoli sembra essere occupato dai rivoltosi.

Tra la fine del 1647 e il 1648 la rivolta sociale viene soffocata e tutto ritorna uguale a prima.

 

 

La contea di Celano dai Peretti ai  Savelli

Nel 1655 muore il conte Francesco Peretti di Celano. A Peretti subentra Bernardino Savelli che ha sposato una sorella di Francesco Peretti. Questa famiglia mantiene la titolarità di Celano fino all’inizio del ‘700.

 

 

Terremoti del 1695, 1703, 1706 

Tra la fine del  XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo, la Marsica è scossa da alcuni terremoti che avvengono in zone vicine ad essa. Nell’arco di nove anni si verificano tre importanti terremoti che scuotono il territorio del centro Italia provocando molti danni.

Nel 1695 un terremoto avvenuto a Bagnoregio di grado 5,7 sulla scala Ricther provoca molti danni nel contado di Celano. Celano nel sisma riporta molti danni. Oltre a Celano il sisma è avvertito anche nel resto del contado e nella Marsica tutta. Al momento non sappiamo di danni a San Potito e Ovindoli derivanti da questo sisma, ma è possibile che vi siano stati, dati i molteplici danni avuti a Celano.

Nel 1703 si verifica il forte terremoto dell’Aquila con un grado di 6,7 sulla scala Ricter. Il sisma provoca la distruzione della città e grossi danni si registrano anche nella Marsica specie, nei territori dell’Altopiano delle Rocche dove Ovindoli, Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio risultano fortemente danneggiati. Da ciò ne consegue che anche il castello di Ovindoli ormai abbandonato viene in parte danneggiato. Probabilmente la stessa cosa avviene anche al castello di San Potito.

Nel 1706 si ha il forte terremoto della Majella. Con questo nuovo sisma l’intera Marsica viene scossa, ma in questo caso i danni sono minori rispetto al 1703.

 

 

Riparazione dei danni a Ovindoli e San Potito

Dopo questa serie di sismi, inizia un lungo periodo di riparazione dei danni. Ovindoli e San Potito sono restaurati dai conti di Celano nell’arco dei decenni successivi. Pur non avendo notizie certe in merito, crediamo che i due castelli di Ovindoli e San Potito sono ormai lasciati a se stessi. Ciò porta ad un ulteriore decadenza delle strutture ormai in completo stato di abbandono.

 

 

La contea di Celano nel XVIII secolo

Nel 1712 muore Giulio Savelli senza discendenti diretti. Con la sua morte si apre una grossa contesa giudiziaria fra parenti più o meno a lui prossimi. Dopo diversi anni di contesa diventano nuovi conti di Celano gli Sforza-Cabrera che mantengono la proprietà del grande feudo fino al 1806 anno dell’eversione feudale.

Nel frattempo al livello politico dopo la fine del dominio spagnolo e del successivo dominio austriaco il meridione italiano torna indipendente con l’ascesa della nuova dinastia dei Borbone espressi prima con Carlo di Borbone e poi con il figlio Ferdinando, destinato a governare a lungo il regno napoletano.

 

 

Arrivano i Francesi

Nel 1798 i Francesi invadono il regno di Napoli, ma non riescono a mantenerne il controllo a lungo a causa della forte ostilità nei loro confronti. Autentiche sollevazioni popolari si scatenano contro i Francesi. Dopo appena un anno e mezzo di permanenza i Francesi lasciano il regno napoletano. A questo punto ritornano i Borbone nella persona del vecchio re Ferdinando.

 

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XIX Secolo

 

Ovindoli e San Potito durante la seconda occupazione francese

Nel 1806 i Francesi tornano ad occupare nuovamente il regno di Napoli, cacciandone il re Ferdinando, che si rifugia in Sicilia. Questa volta a differenza di qualche anno prima i Francesi non trovano l’accanita resistenza della popolazion, ma anzi una maggiore predisposizione a provarli come governanti. I Francesi questa volta rimangono per circa dieci anni e in questo periodo vengono vagliate importanti riforme che cambiano nel profondo l’assetto sociale del meridione italiano.

Tra le prime riforme svolte figura nel 1806 l’abolizione dei diritti feudali, che nella Marsica significa la fine dei feudi della contea di Celano e del ducato di Tagliacozzo, con la relativa decadenza del governo locale degli Sforza-Cabrera-Bodavilla e dei Colonna. A questa riforma ne seguono altre che modificano profondamente le istituzioni locali. Tra queste vi sono diversi riassetti amministrativi che vedono sparire molte autonomie locali, che portano a una generale riconfigurazione di diverse geografie amministrative.

Nel caso specifico di Ovindoli si nota la conferma dell’autonomia amministrativa, che viene poi arricchita dei paesi di Santa Jona e San Potito, precedentemente dipendenti da Celano.

 

 

– Ovindoli e San Potito durante il secondo periodo borbonico

Nel 1815 la potenza napoleonica decade definitivamente nella battaglia di Waterloo. A catena di questo episodio tutti i governi filo napoleonici fino ad allora esistenti cadono automaticamente.

Ciò è vero anche nel sud Italia dove il governo di Murat viene defenestrato dai governi europei, che impongono il ritorno dei Borbone nella persona del vecchio re Ferdinando che assume il nuovo titolo di re delle Due Sicilie. Il governo borbonico insediatosi di nuovo nel 1815 dura fino al 1860. In questo periodo nella Marsica proseguono, anche se con alti e bassi, i cambiamenti sociali avviatisi sotto i governi francesi.

Nella Marsica il cambiamento più importante è l’avvio del prosciugamento del Lago Fucino avviato nel 1853 dal Banchiere Torlonia. L’opera di prosciugamento di Torlonia è l’ultimo atto di una situazione ingestibile, a causa dalle continue e dannose escrescenze del lago Fucino, che raggiungono il loro apice nel periodo 1815-16.

Oltre a ciò abbiamo il consolidamento degli assetti organizzativi e sociali avviatisi con i Francesi e proseguiti sotto i Borbone. Da questo clima di rinnovato vigore viene fuori il fenomeno delle Carbonerie, che nella Marsica non riesce ad attecchire, se non ai livelli più alti della nobiltà, rimanendo confinata a pochi giovani elementi.

Nell’ambito economico la Marsica continua a vivere arraggiandosi alla meglio con l’attività pescatoria, una ridotta attività agricola e la sempre presente attività pastorale delle pecore, che con la lavorazione della lana, porta al miglioramente sociale di alcune importanti famiglie.

All’interno di questo quadro troviamo Ovindoli e San Potito, due paesi vicini che praticamente camminano insieme. Sia gli abitanti di San Potito, che quelli di Ovindoli si occupano prevalentemente delle attività pastorale e della raccolta del legname.

Frequente in queste zone è poi l’attività del brigantaggio, che spesso grazie ai nascondigli di montagna, assalta con azioni rapide i poveri paesi presenti in queste zone come Ovindoli e San Potito.

 

 

– Il castello di San Potito rifugio di banditi

In questi tempi tristissimi il castello di San Potito è ormai un maniero abbandonato e isolato, posto su un cucuzzolo della montagna a guardia della strada verso l’Altopiano delle Rocche. Il posto si rivela un facile e sicuro rifugio per briganti di ogni specie.

Pur non avendo notizie dirette in proposito siamo portati a credere, vista la sua posizione, che l’antico castello posto a nido d’Aquila, sia stato spesso visitato e abitato seppure per brevi periodi dalle bande di briganti presenti in questa parte d’Abruzzo.

 

 

Il nuovo regno d’Italia e il fenomeno dell’emigrazione

Nel 1860 avviene la rivoluzione garibaldina che nel giro di pochi mesi, porta alla caduta del regno napoletano con l’abbattimento della monarchia borbonica. Successivamente la stessa rivoluzione spinge il meridione italiano ad unirsi al resto della penisola nella formazione del nuovo regno d’Italia.

Nel 1861 si ha infine la nascita ufficiale del nuovo regno d’Italia sotto lo scettro di Casa Savoia.

Con l’avvento della nuova nazione italiana si ha un successivo periodo di consolidamento dell’amministrazione statale che dura all’incirca fino al 1875. Durante questo periodo il nuovo stato nazionale si viene consolidando in tanti aspetti e forme, a cominciare dalla pacificazione nazionale, che passa nel caso del meridione italiano dalla sconfitta delle forme del Brigataggio.

Con la cacciata dei Borbone nel 1860, l’ultimo re si rifugia prima a Gaeta a poi a Roma dal Papa Pio IX. Qui egli cerca di organizzare una controffensiva che partendo dall’Abruzzo dilaghi in tutto il meridione italiano. Per fare ciò si appoggia alla chiesa e ai briganti.

Gli uomini di Francesco II scendono a patto con alcune bande criminali per convincerle a passare dalla sua parte. La chiesa di Pio IX fa il resto mobilitando i preti di paese a fare proseliti presso la popolazione ignorante, che vede nei Savoia non dei liberatori, ma solo degli usurpatori.

Per cui nel 1861 si forma poco dopo la proclamazione del nuovo regno italiano, un vasto moto popolare che appoggia più o meno in segreto le forze di Francesco II e le stesse bande criminali, affinchè operino per rovesciare i Savoia nel sud Italia, restaurando i Borbone.

Tuttavia questa alleanza dura poco tempo a causa dell’abbandono dei briganti, che convintisi dell’inutilità dell’azione tornano a saccheggiare le popolazioni. Queste infine vedendo il comportamento delle bande nei loro confronti, mano a mano si convincono ad abbandonare il progetto e vengono  lentamente appoggiando le truppe dei Savoia e del nuovo stato nazionale.

Dall’altra parte la nuova polizia ed esercito italiani riescono a migliorare la loro azione sul territorio, riuscendo a fare proseliti nella popolazione, che viene convinta della bontà di queste azioni repressive, finendo per appoggiarle.

Così con una popolazione meno ostile a partire dal 1863-64 la polizia italiana riesce lentamente ad avere la meglio sulle bande di briganti, che infestano le zone della catena del Velino-Sirente fino ad arrivare a sconfiggerle nel 1870 circa.

Durante questo periodo le popolazioni di alta montagna dell’Altopiano delle Rocche tra cui quelle di Ovindoli e San Potito passano mano a mano dalla parte dei Savoia, dopo essere state all’inizio loro ostili.

 

 

I castelli di Ovindoli e San Potito a fine XIX secolo

Dopo la fase di consolidamento del nuovo stato italiano assistiamo all’inizio dei primi progetti di valorizzazione del territorio con la costruzione della prima  rete ferroviaria e il miglioramento o costruzione di una nuova rete stradale. Tutto ciò è favorito dalla conclusione del prosciugamento del Lago Fucino e dall’avvio di un’intensa fase di lancio dell’attività agricola con la costruzione di una rete ferroviara interna alla Piana del Fucino che colleghi questa con le nascenti stazioni ferroviarie locali.

Allo stesso tempo le prime amministrazioni comunali postunitarie dei vari paesi della Marsica cercano di migliorare l’azione amministrativa, avviando progetti di utilità pubblica con la costruzione dei primi acquedotti cittadini, con la sistemazione dei vari paesi con i primi piani regolatori e altre opere di questo genere.

Purtroppo però nonostante un inizio di miglioramento economico iniziato a registrare verso la fine del XIX secolo in alcune zone della Marsica, in molte altre località questo miglioramento non è ancora presente e ciò spinge molta gente a emigrare verso l’estero. Questo fenomeno noto come la prima emigrazione di massa coinvolge anche paesi come Ovindoli e San Potito.

Di riflesso la crisi economica e l’emigrazione forzata spingono a un ulteriore abbandono delle antiche strutture medievali come i castelli di San Potito, Ovindoli e di altre località presenti in questa parte d’Abruzzo.

Queste rocche, poste nella parte più a monte dei borghi e ridotte ormai allo stato di rudere, rimangono a guardia di questi paesi di montagna.

 

 

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XX Secolo

 

Il comune di Ovindoli a inizio secolo

Ovindoli all’inizio del XX secolo continua ad essere un piccolo comune di montagna, la cui economia si concentra sulla pastorizia e altre attività che non riescono a dare sviluppo al territorio. A causa di ciò prosegue l’emigrazione di molta gente del borgo tra il 1900 e il 1910. Nonostante ciò però osserviamo la costante crescita della popolazione del borgo e delle sue frazioni. Nel 1901 Ovindoli conta 2588 unità per divenire 2711 nel 1911.

 

 

Terremoto del 1915 

Nel gennaio del 1915 si verifica un atroce terremoto con epicentro presso Gioia dei Marsi. Una grossa faglia della Piana del Fucino si risveglia la mattina del 13 gennaio e con una forza pari al 7 grado della scala Richter distrugge molti borghi della Marsica a cominciare dal suo capoluogo Avezzano. La tragedia è immane i borghi coinvolti nel sisma sono tanti e tutti quelli che si affacciano sulla Piana del Fucino sono o rasi al suolo o gravemente danneggiati. L’enorme sisma riesce a uccidere in pochi secondi 30.000 persone.

 

 

Gli effetti del sisma su Ovindoli e San Potito

A Ovindoli come in altri borghi dell’alta montagna della catena del Velino-Sirente, i danni sono notevoli e sono molti gli edifici crollati nel terremoto, ma a differenza di altri borghi limitrofi i danni qui sono meno intensi, ma comunque ragguardevoli.

Il castello di San Potito risulta crollato in molte parti, la struttura che fino al sisma del 1915 era si abbandonato, ma ancora ben conservato, risulta ora un vero e proprio rudere. Anche il piccolo villaggio di San Potito risulta gravemente compromesso. La torre di Santa Jona riesce a conservarsi abbastanza bene, ma riporta il crollo della parte più alta.

 

 

Dopo il terremoto 1915-39 Ovindoli


risulta quindi gravemente danneggiata seppure meno intensamente di altri borghi. Con il sopraggiungere successivo della prima guerra mondiale, gli abitanti rimasti di Ovindoli si adattano a vivere in baracche di fortuna, o si spostano in zone meno compromesse. La guerra dura fino 1918, un periodo lungo e buio per la Marsica e tutti i suoi borghi.

Tuttavia la guerra termina e con essa inizia una prima fase di ricognizione e successiva ricostruzione delle strutture più importanti del paese. Quando capita una tragedia così grossa, ciò segna uno spartiacque difficilmente non riconoscibile e il terremoto del 1915, più di ogni altra tragedia avvenuta in passato, lo è sicuramente per la Marsica.

Ovindoli piano piano inizia a tornare a una pseudo normalità, e proprio in questi anni precisamente nel 1920 si apre una dura vertenza di confine con il comune di Celano circa la montagna d’Arano.

Pochi  anni dopo arriva il Fascismo in Italia che espande la sua ideologia in tutta Italia e quindi anche in Abruzzo. Ad Ovindoli negli anni ’20 si procede alla riprogettazione e ricostruzione del paese dopo il sisma del 1915. Il paese viene ricostruito i molte parti, mentre il resto avverrà dopo la seconda guerra mondiale.

Negli anni ’20 s’intuisce la propensione del territorio ovindolese per un turismo di montagna. Ciò porta a partire dal 1930 alle prime ondate di amanti dello sci, che tramite le prime auto, ma soprattutto con il treno, i famosi treni della neve, tramite la vicina stazione di Celano giungono per praticare questo sport.

Da qui nascono in questi anni i primi alberghi per amanti dello sci e del territorio.

 

 

La 2 guerra mondiale

L’Italia entra nella seconda guerra mondiale nel 1940 a fianco della Germania. Dopo 3 anni di guerra l’Italia perde su tutti fronti sconfitta dagli eserciti alleati. Nel 1943 gli Alleati aprono il fronte italiano invadendo il paese. In luglio il governo fascista cade e poco dopo lo stesso stato monarchico decade abbandonando Roma.

L’Italia lasciata a se stessa vede l’invasione a nord della Germania che la occupa fino al basso Lazio instaurando la linea Gustav, mentre gli Alleati occupano e liberano il sud Italia fino a risalire al basso Lazio.

La Germania pone la sua sede di comando a Massa d’Albe, dove controlla la difesa sulla linea Gustav e instaura un regime polizia molto duro in Abruzzo.

Tra ottobre 1943 e il giugno 1944 gli eserciti tedesco e alleato si fronteggiano duramente intorno all’Abbazia di Montecassino. Duri borbardamenti alleati interessano tutta la Marsica soprattutto l’area fucense. Ovindoli si pone sull’ingresso nord della Marsica e qui gli eserciti passano. 

A giugno 1944 la Marsica è liberata e in aprile del 1945 l’Italia è libera.

 

 

Ovindoli nel secondo dopo guerra Ovindoli
è dopo la guerra un semplice paese di montagna che viene riparato dai danni materiali della guerra, ma rimane povero e poco attrattivo spingendo molti giovani  ad emigrare tra gli anni 50′ e 60′. Ovindoli nonostante questa crisi economica inizia a strutturarsi come importante centro sciistico nel centro Italia, riprendendo l’idea dello scii già emersa negli anni ’30.

Nel corso degli anni ’60 e ’70 si formeranno i grandi impianti sciistici di Ovindoli che porteranno numerosi turisti e conseguentemente un nuovo sviluppo economico che favorirà insieme ad altro il boom economico della Marsica nella seconda metà degli anni ’80.

Successivamente il filone turistico si rafforzerà nel corso degli anni ’90 con il miglioramento degli impianti e una maggiore organizzazione turistico-alberghiera. Ciò porterà anche a una riscoperta delle antiche tradizioni del posto unito a una maggiore valorizzazione del proprio patrimonio artistico.

 

 

Il castello di San Potito nella seconda metà del XX secolo

Dopo il sisma del 1915 il castello ormai diroccatto viene lasciato a se stesso per molto tempo e anche dopo la seconda guerra mondiale le cose non cambiano. Nel corso degli anni ’80 con la scoperta archeologica della villa imperiale di San Potito e i successivi scavi, si viene riscoprendo anche il castello locale. Ciò per il momento non si traduce in una suo restauro e valorizzazione, ma comunque porta ad una maggiore comprensione della storia del territorio.

 

 

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XXI Secolo 

 

– Gli scavi della villa imperiale e la riscoperta del castello di San Potito

Nel corso dei primi anni 2000 sono proseguiti con intensità gli scavi archeologici presso Piano de Santi, un’area dove è sepolta la villa imperiale degli Antonini.

Con la continuazione degli scavi anche il castello di San Potito è stato via via riscoperto come storia e si sono avute maggiori testimonianze su esso attraverso una più precisa raccolta di dati. Ciò permette oggi di conoscere meglio questo antico maniero e porre le basi per una suo futuro restauro e valorizzazione turistica.

Se ciò avvenisse come auspicato in questa dissertazione, l’offerta turistica del comune di Ovindoli non solo sarebbe ricca sul piano del turismo sportivo, ma anche su quello culturale, offrendo con ciò un’ampia possibilità di scelta per i numerosi turisti, che ogni anno vengono in questo magnifico e spettacolare comune.

 

 


 

 

STRUTTURA DEL CASTELLO DI SAN POTITO (OVINDOLI)

Il castello di San Potito visto dall’alto.

(Fotogramma da video Youtube “DJI MAVIC AIR trale rocche Abruzzese (San Potito, Ovindoli, AQ)”)

 

Del vecchio castello di San Potito ormai rimangono solo i ruderi della vecchia rocca, specie dopo il disastroso terremoto del 1915, che ha gravemente danneggiato la struttura.

Tuttavia come anche s’intuisce dalle foto, restano in piedi ancora delle parti importanti che danno un’idea abbastanza precisa della struttura e la darebbero ancora meglio se ristrutturate. 

 

Il castello e il paese di San Potito visti dal Piano de Santi. (Immagine personale)

 

Facendo un salto indietro nel tempo come ci narrano le fonti storiche, il castello era una vera fortezza militare, fatta in pietra locale, circondata da forti mura e torri circolari.

 

Il castello di San Potito. (Immagine personale)

 

Il corpo centrale del castello era formato da un Torrione di forma quadrata, di cui dai resti s’intuisce ancora la forma, ed era insieme fortezza e abitazione.

 

Probabili resti del Torrione del castello. (Immagine personale)

 

Inoltre nell’ambito del castello-recinto vi era anche una chiesa intitolata a San Potito, fornita di libri e suppelletili, dotata di beni patrimoniali sia dentro che fuori le mura del maniero.

 

 


BIBLIOGRAFIA

 

1) www.trasacco.terremarsicane.it

2) http://www.fucino.altervista.org/pagina-875327.html

3) LA STORIA D’ITALIA A FUMETTI di Enzo Biagi

4) http://santanatolia.it/storia/capitolo-iv

5) http://www.comune.avezzano.aq.it/index.php?id_sezione=427

6) http://www.pereto.terremarsicane.it

7) http://www.celano.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=26

8) http://www.icastelli.it

9) www.lucodeimarsi.terremarsicane.it

10) Articolo scientifico : “Tracce archeologiche di un terremoto tardo-antico nella Piana del Fucino (Italia centrale) di F. Galadini, E. Falcucci, A. Campanelli, E. Ceccaroni.

11) www.terremarsicane.it/marsica/?qnode/187

13) V.D’Ercole, L’italia prima di Roma, Pescara 1998

14) Van Wonterghem, I Peligni e il loro territorio prima della conquista romana

16) www.spaziovidio.it

17) www.wikipedia.org

18) Santellocco A.F. (2004) – MARSI STORIA E LEGGENDA – TOVTA MARSA (Luco dei Marsi)

19) http://www.pereto.info/contemporanea.htm

20) http://www.fucino.altervista.org/pagina-875327.html

21) http://www.itisavezzano.it/pagine/b00012.asp

22) http://www.santemarie.terremarsicane.it/

23) http://www.terremarsicane.it/category/luco-dei-marsi/

24) http://www.tagliacozzo.terremarsicane.it

25) www.civitellaroveto.org

26) www.civitellaroveto.terremarsicane.it

27) Marco Bianchini – Edilizia storica della Marsica occidentale – Editrice Dedalo di Roma

28) http://www.cerchio.terremarsicane.it/

29) http://www.aercalor.altervista.org/index_file/Lago_Fucino.pdf

30) Venerada Rubeo – Covella contessa di Celano: sulla storia di una nobildonna nella Marsica del Quattrocento – Editrice Kirke

31) http://www.celano.terremarsicane.it/

32) http://www.sirentina.it/uncem/ita/ovindoli/index.htm

33) http://www.caicelano.it/celano/la-storia/

34) Denes Gabler, Ferenc Redo – Ricerche archeologiche a San Potito di Ovindoli e le aree limitrofe nell’antichità e nell’alto medioevo – a cura del Consorzio per lo sviluppo Culturale delle Rocche – Rocca di Mezzo (Aq) – Atti del convegno sui problemi archeologici di una villa romana nella Marsica – Budapest, 24 novembre 2000.

 


TORRI E CASTELLI DELLA MARSICA


OVINDOLI


STRUTTURE E MONUMENTI DI OVINDOLI